“Non sono stato io. È stata Roma”

 

“I’m the king of my own land
Facing tempests of dust
I’ll fight until the end
Creatures of my dreams – raise up and dance with me
Now and forever
I’m your KING!” [Outro, M83]

 

L’atteso film di Stefano Sollima, Suburra,  fa la sua comparsa nelle sale cinematografiche in un momento in cui Roma sembra riappropriarsi di quel concetto di “suburra” che l’ha contraddistinta fin dai tempi più antichi.

 

I bassifondi in cui politica e malavita si amalgamano per tirare le fila di una società ormai corrotta e, probabilmente, senza possibilità di redenzione sono il vero teatro delle vicende narrate in Suburra, il cui merito è quello di portare alla luce l’intreccio di tre poteri dissimili ma ugualmente spietati, politico, religioso e criminale, e delle inconsapevoli vittime che essi mietono.

 

Un politico corrotto, un intoccabile esponente della malavita, un animale sociale codardo, una prostituta incosciente, un criminale visionario, una tossicomane impulsiva: questi i protagonisti le cui vicende sono destinate a sfiorarsi e scontrarsi fra di loro in un vortice di cruenti atti criminali il cui culmine sarà quell’Apocalisse preannunciata sin dall’inizio della storia, sancita dalla caduta del governo Berlusconi e dai dubbi sulle “dimissioni” del pontefice.

 

La voce e la postura di un inedito Pierfrancesco Favino sono preludio di un’interpretazione magistrale: calatosi nei panni di Filippo Malgradi, politico corrotto e dedito a notti di sesso con prostitute, è proprio lui a mettere in moto uno spietato e inarrestabile meccanismo che ruota intorno all’approvazione del nuovo piano regolatore di Ostia.

 

Suburra_Pierfrancesco Favino

 

Malgradi incarna alla perfezione lo stereotipo dell’uomo politico odierno: il suo essere superficiale, depravato, insano e sprezzante, tanto da orinare dal balcone della camera d’hotel in cui è solito consumare rapporti goliardici, vanifica il potere di redenzione della pioggia che scorre incessante per quasi tutto il film, quasi a voler mostrare una Roma che annaspa e che alla fine non può far altro che affondare schiacciata dal peso insostenibile della sua stessa immoralità.

 

La figura intoccabile e per certi versi paterna del Samurai (ultimo esponente della Banda della Magliana), interpretato in Suburra da un insolitamente imperturbabile Claudio Amendola (finalmente in un ruolo drammatico), sembra per la maggior parte del film tenere in vita gli equilibri che andranno via via sgretolandosi, mentre due fazioni contrapposte della malavita romana si sfidano in una cruenta battaglia senza esclusione di colpi.

 

L’una guidata da Numero 8 (un Alessandro Borghi davvero emozionante), che eredita il predominio sul litorale di Ostia dal padre e sembra aspettare impaziente che il sogno di trasformarla in una Las Vegas all’italiana si realizzi; l’altra guidata da uno spietato capo clan rom, che ormai ha il controllo di buona parte della Roma malavitosa, ma che ancora non sente riconosciuta l’autorità che esercita.

 

Suburra_ Alessandro Borghi

 

Brillante anche l’interpretazione di Elio Germano il quale riesce a calarsi alla perfezione nei panni di un affermato PR, così legato al suo status sociale da essere disposto a tutto pur di non perderlo, anche macchiarsi di atti profondamente vili.

 

Il tutto è sapientemente orchestrato dalla penetrante ed emozionante colonna sonora degli M83, il cui testo riecheggia e accompagna la potenza della fotografia di Paolo Carnera.

 

Suburra non delude: Stefano Sollima, il regista delle serie cult Romanzo Criminale e Gomorra, riesce a regalarci un altro ritratto vero di una società criminale e corrotta, in cui tutti i grandi poteri sono coinvolti, compreso quello pontificio, e che non manca di farci riflettere sull’impossibilità del riscatto e sulla negazione della redenzione. Nonostante questo, quasi paradossalmente i sentimenti irrazionali e le forti emozioni accompagnano tutti i personaggi del film e rappresentano la loro condanna, dalla quale si salvano solo Sebastiano (il cui unico merito è quello di smettere finalmente di essere vittima della sua codardia) e Viola (la cui vendetta chiude una catena di violenza inarrestabile).

 

E forse l’unica pecca di Suburra è proprio il finale, che ci fa tirare sì un sospiro di sollievo, ma al contempo ci lascia totalmente increduli di fronte a qualcosa che non ci saremmo mai aspettati. Un eccesso di finzione di troppo.