Il Catha edulis è una pianta originaria delle regioni orientali dell'Africa, le cui foglie provocano stati di euforia ed eccitazione. Eccola trasformarsi così nella droga povera chiamata anche Khat.
Il khat è una pianta decisamente interessante quanto poco conosciuta in Europa. Cultura, rito e comunità si fondono attorno ad essa, soprattutto tra i principali paesi di produzione: Sud Africa, Kenya e Somalia. Da secoli, le foglie di questa pianta vengono usate per i più svariati motivi in tutto l’Est Africa, da scopi puramente ricreativi fino a un supporto naturale alla fatica del lavoro e la fame.
Lo stesso Charles Dickens nel 1856, trovandosi in Yemen, commenta l’uso di questa pianta in un settimanale da lui edito, Household Words:
“Le foglie di questa droga chiamata khat, sono uno tra i maggiori piaceri in queste zone dell’est Africa. Gli utilizzatori comuni, riprendendo il nome scientifico della pianta, catha edulis, lo traducono nel più comune khat. Questa pianta è molto apprezzata anche tra gli arabi e viene trasportata nelle loro terre, tramite lunghe carovane di cammelli. Il carico viene organizzato in una montagna di piccoli contenitori, ognuno contenente all’incirca quaranta ramoscelli attentamente annodati, così da evitare l’esposizione all’aria. Le foglie vengono masticate, agiscono sullo spirito di chi le usa come una forte dose di tè verde funziona da noi in Europa. Quando funziona come dovrebbe, si intende. Gli europei, abituati a stimolanti più forti, accusano flebilmente l’uso del khat, ma tra gli arabi, caratterizzati da gusti più moderati, l’effetto è un benvenuto al buon umore. Tanto che duecentoeottanta cammeli completamente carichi di khat, non bastano a coprire l’uso che se ne fa solo nell’Aden.”
A parte i riferimenti storici, se vi trovate per le strade di Nairobi e cercate del khat, probabilmente avrete alcune difficoltà a farvi capire, perché in questo caso la parola magica è: miraa. Come indicato precedentemente, questa pianta è legata alla cultura locale, e la cultura locale vuole che in Kenya il nome ufficiale ‘da strada’ sia miraa. In questo caso, le indicazioni principali che riceverete saranno di andare nella zona ovest della città, dove quasi sicuramente incontrete lungo i bordi della strada dei rivenditori. Da notare: nel caso siate neri e meglio ancora kenyoti, per pochi Kenyan Shilling vi gireranno dei bei sacchetti pieni di foglie. Altrimenti, da bianco ed europeo, il prezzo può salire vertiginosamene. Questo vale per tutte le contrattazioni.
Come si usa il khat? Le foglie migliori sono quelle più chiare e giovani, perché il principio attivo (cathenone) dopo 48 ore inizia a diminuire. Quindi, le giovani foglioline vanno masticate (ma non ingoiate) così da farne uscire la linfa che contiene il principio attivo. Vien da sé che una sessione di miraa può durare ore costringendo a cambiare spesso il lato della bocca da cui si mastica. Anche perché l’effetto che provoca, a lungo andare, è quello di estrema secchezza localizzata nella zona di masticazione. Considerando che in generale, in Europa, non si è abituati a masticare foglie, un altro buon consiglio è quello di comprare delle gomme da masticare. Quest’ultime svolgeranno direttamente il compito di mantenere unite le foglioline masticate ed evitare che finiscano ingoiate.
Un’alternativa è fare il tè al khat, che richiede l’essicazione delle foglioline, ma per il resto il procedimento è lo stesso di un normale infuso per il tè. Può essere una soluzione per chi alla lunga si stanca del continuo masticare.
Tornando al punto in cui scrivevo che “una sessione può durare ore”, mi riferisco, in questo caso, principalmente agli effetti: il mare della tranquillità. Di solito, in Kenya, masticare miraa rappresenta il post-lavoro tra amici, la noiosa domenica pomeriggio e la serata senza particolari destinazioni. Questa pianta è anche considerata la miglior compagna di viaggio da chi si accinge ad avventurarsi per un lungo itinerario o necessita di guidare per parecchie ore. Gli effetti stimolanti di questa pianta ti tengono sveglio e al contempo ti fanno immergere nei tuoi pensieri. I kenyoti che hanno tentato di spiegarmi l’esperienza, la definiscono un po’ come “costruire castelli per aria” quindi un misto tra il meditativo, l’estrema rilassatezza e al contempo uno stimolante. Una cosa è certa: non ti fa sentire la fame.
Come Charles Dickens nel suo settimanale descrive che il mercato del khat era fiorente già dall’Ottocento, oggi si può dire lo stesso. Anche se negli ultimi anni ha accusato il colpo dell’illegalizzazione in Europa, le motivazioni sono da ricercare più nella guerra al terrorismo che nella reale tossicità di questa pianta. Il governo inglese, per esempio, ha bandito il khat nel 2013 indicando le seguenti motivazioni: (1) l’uso del khat tra la comunità dei migrant somali ha un impatto negativo sulla salute e la vita di famiglia; (2) il Regno Unito è diventato un hub internazionale di distribuzione di questa sostanza (3) l’uso del khat e la vendita contribuiscono a rinforzare l’attività criminale e terroristica.
Tradotto: se in Inghilterra ti trovano in possesso di khat rischi fino a due anni di carcere; alcuni paesi produttori del Kenya sono andati letteralmente in rovina e il prezzo del khat è salito vertiginosamente in Europa.
Ciò non toglie che se vi trovate nella famosa area di produzione della contea di Merù, in Kenya, non potrete fare a meno di notare un continuo via vai di camion da due tonnellate carichi di questa pianta. Oppure lunghe carovane di pick up che, come i cammelli al periodo di Charles Dickens, trasportano, stracolmi, il khat per mezz’Africa.
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