"Ogni maledetta domenica si vince o si perde. Resta da vedere se si vince o si perde da uomini”.
L’unica cosa che conta davvero è questa. È difficile trovare ambienti che, meglio dello sport, possano essere metafore della vita. Eppure i film sullo sport di successo sono davvero pochi, in relazione al numero di produzioni che sono state fatte: fino a Ogni maledetta domenica, sembrava che l’unico sport sul grande schermo che potesse funzionare fosse il pugilato (Toro Scatenato, Rocky). Qualcuno potrebbe parlare di Fuga per la vittoria, che certo non è un brutto film, ma da un punto di vista puramente ‘sportivo’ lascia abbondantemente a desiderare.
Ogni maledetta domenica invece riesce ad essere un capolavoro, parlando di vita, etica, squadra, si rivolge alle nuove generazioni ed a quelle vecchie, analizza la psicologia di atleti affermati, professionisti senza scrupoli, politici, media. Il campo di football è l’anfiteatro romano dove migliaia di tifosi si recano per vedere i giocatori in campo scannarsi vivi come animali, dove i giocatori assetati di soldi, donne, droga sono disposti a morire pur di vincere e così pretendere contratti milionari da presidenti senza scrupoli. Le partite, gli spogliatoi, le feste, le orge, ogni ambiente frequentato dai protagonisti del film è un campo di battaglia dove dare sfogo ad ogni tipo di pulsione originaria ed indomabile, la violenza, il sesso, la fame di potere, l’affermazione, il successo, i soldi. È un groviglio di giochi di potere, di ricatti, giochi psicologici per fare soldi in qualsiasi modo e che inesorabilmente può portare solo ad una carneficina infinita. Lo sanno tutti che il football ai massimi livelli, vissuto senza nessuno scrupolo, non può che portare alla rovina, alla distruzione, alla morte. È come una femme fatale: bella, seducente, irresistibile, sai che se la seguirai, morirai sicuramente, ma non ti importa. Pur di inseguire il Piacere vano e fine a se stesso, qualsiasi uomo farebbe qualsiasi cosa. Sopratutto se sei giovane e pieno di talento come Willie Beaman (interpretato in modo eccezionale da Jamie Foxx), quarterback fenomenale che tutti vogliono, ma che crea dissidi interni nello spogliatoio proprio perché irriverente, montato, sfacciato.
“Tu non sei un fuoco di paglia… un Cornerback… un ricevitore… uno dei tanti Julian Washington, cazzo, tu sei un Quarterback!!! Lo sai cosa significa?! È il ruolo principale, Willie. È colui che si prende le colpe, è colui che tutti guardano per primo, il leader di una squadra che ti dà il suo appoggio, quando si riconosce in te. Si faranno spezzare costole, fratturare nasi e colli per te perché avranno fiducia, quella fiducia che ti sarai conquistato. Questo è il Quarterback”. (Tony D’Amato a Willie)
Talmente insopportabile che Shark gli divide in due la macchina nuova con una motosega.
“Hai avuto il comando, negro, ma ti ha seguito forse qualcuno? […] Certo, giocando hai imparato a farti valere, a fare il galletto, a pungere… ma che altro? Un giorno niente più denaro, niente più donne, niente applausi: fine del sogno. […] Un uomo deve guardarsi indietro ed essere fiero di tutta la sua vita, non solo degli anni con paracosce e conchiglia. E non fermarsi al ricordo degli anni d’oro. Questo devi averlo dentro. Se non ce l’hai, non sei un uomo: sei solo un buffone”. (Shark a Willie)
Dal canto suo Shark non potrebbe più giocare, ha una frattura al collo che basta un movimento fatto male per uccidere il suo corpo gigante ed esageratamente robusto. La sua rabbia e la sua tenacia a non mollare, nonostante l’età non più giovanissima per giocare, sono alimentate da un premio in denaro di un milione di dollari se riuscirà a giocare la finale del campionato. A mandarlo avanti è il dott. Ollie Powers (Matthew Modine), uomo senza scrupoli che lo imbottisce di medicine e lo convince di uno stato di salute che proprio non ha. E tra tatuaggi maori, risse negli spogliatoi, coccodrilli portati sotto le docce, giocatori che in campo perdono anche occhi, in questo totale marasma e frastuono, si muove Tony D’Amato, uno dei personaggi più belli di Al Pacino (insieme a Carlito Brigante di Carlito’s Way) , allenatore che “ha commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare”, che ha una squadra sull’orlo del fallimento e che si odia a morte con la nuova presidente, figlia del vecchio proprietario della squadra e che da giovane donna senza scrupoli vuole rivoluzionare tutto. Ogni maledetta domenica c’è una partita da affrontare, contro degli avversari bastardi che pur di annientarli si può arrivare a tutto. Ogni maledetta domenica, all’interno della propria squadra vengono fuori tutti i conflitti interni che come demoni muovono le azioni di tutti i personaggi che vivono dentro lo stadio. Ogni maledetta domenica.
Eppure, improvvisamente, come uno spiraglio di luce tra le tenebre, Tony D’Amato, l’uomo talmente solo che neanche una prostituta è disposta a stargli di fianco, prima della partita decisiva per vincere il campionato, illumina la squadra con uno dei monologhi più belli ed intensi della storia del cinema. Si può scegliere tra sole due strade: se vincere come squadra o perdere come singoli individui. La spinta per la realizzazione della vita di ognuno di noi, sta nello sguardo, nell’amicizia, nella solidarietà di chi sta al nostro fianco e con fatica combatte per guadagnare un centimetro alla volta con noi, fino alla meta.
“Non so cosa dirvi davvero. 3 minuti alla nostra più difficile sfida professionale. Tutto si decide oggi. Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi. Sono troppo vecchio. Mi guardo intorno, vedo i vostri giovani volti e penso ‘certo che ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare’. Si perché io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio. Sapete con il tempo, con l’età, tante cose ci vengono tolte, ma questo fa parte della vita. Però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri, e così è il football. Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine di errore è ridottissimo. Capitelo. Mezzo passo fatto un po’ in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate, mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono, sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro, e io so che se potrò avere una esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. La nostra vita è tutta lì, in questo consiste. In quei 10 centimetri davanti alla faccia, ma io non posso obbligarvi a lottare. Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra signori miei. Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente. È il football ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare?”. (Tony D’Amato)