Il 6 Aprile arriverà nei negozi “Believe Nothing”, il quarto disco dei Bad Love Experience.

La Crisi. Il grande spauracchio di tutti gli anni ‘10 di questo secolo è divenuto oramai un termine che sentiamo quotidianamente nei telegiornali, fra le chiacchiere della gente, ogni volta che parliamo di lavoro o più banalmente di soldi. La Crisi è un dramma, un avvenimento che ha ridotto per molti la qualità di vita e assottigliato per tantissimi le prospettive di crescita ed auto-realizzazione. Almeno per quanto riguarda il vecchio continente. La Crisi è uno sconvolgimento che cambia gli equilibri e scombina i piani, ma può essere una grande occasione di riscossa e cambiamento: forse il grande insegnamento de La Crisi è che quando non si ha più tutto ciò che si desidera, si deve mettere a frutto ed ottimizzare ciò che si ha. In cooperazione, con lungimiranza e rompendo qualche consuetudine.

I Bad Love Experience al concetto di Crisi ci hanno pensato tanto. Dopo il loro terzo, bellissimo album, avevano addiriuttura pensato di smettere di fare musica. Nel tempo passato a riflettere il loro front-man e chitarrista Valerio ha scritto dei brani. Lo scambio ed il lavoro fruttuoso con Ivan Antonio Rossi – già loro produttore – ha rinvigorito tutta la voglia dei quattro livornesi, e preso a bordo lo stesso Rossi come membro stabile, La Crisi era già finita. Il 6 Aprile arriverà nei negozi Believe Nothing, il quarto disco dei Bad Love Experience. Non posso che esserne entusiasta, non ho mai nascosto il mio amore per la band labronica di cui possiedo gelosamente tutta la discografia. La loro avventura partì come un super trio che suonava a là The Jam, incrociando punk e power pop, dimostrando da subito un ottima inclinazione per le melodie. Poi la svolta 60s con “Rainy Days” e l’ingresso delle tastiere nel sound del gruppo. Di quel tour promozionale ricordo l’inserimento in scaletta di “Victoria”, brano pazzesco dei The Kinks. Nel 2010 arriva addirittura una candidatura ai David di Donatello, grazie al lavoro svolto con Paolo Virzì perLa Prima Cosa Bella,  mentre nel 2012 giungono alla loro consacrazione presso la critica specializzata grazie al complesso e riuscitissimo album “Pacifico”.

“Believe Nothing” riparte proprio da lì,  dalla scrittura sognante di “Pacifico” pur virando verso atmosfere più luminose, con testi che affrontano temi come crescita e cambiamento. L’apertura – “Inner Animal” –  è in puro technicolor: chitarre acustiche incalzanti, organi hammond e sintetizzatori irresistibilmente 70s. Penso subito al Battisti più sornione, quello di Innocenti Evasioni e Amarsi Un Po’, ma qua i confini vengono sorpassati e si respira aria internazionale e contemporanea. Il song-writing dell’intero disco è raffinatissimo ed il lavoro sugli arrangiamenti consente ai brani raccolti di suonare moderni e retrò contemporaneamente, donando al tutto una patina di atemporalità affascinante. Cori beatlesiani si alternano a strizzate d’occhio di vocoder, l’uso dei synth ben sposa il sassofono e le congas. Meraviglioso l’uso che viene fatto del reverbero, elevato a vero e proprio strumento musicale. In “Yoniso” si respira Pet Sounds e Brian Wilson, grande influenza dei Bad Love Experience, la sequenza finale di “Dream of Love on Earth” è degno degli Animal Collective più ispirati. C’è spazio anche per una ballad elettro-acustica – “From Where Winds Hail” – mentre la chiusa è affidato alla title-track che spicca fra gli altri brani per modernità e contaminazioni elettroniche, incorporando però un crescendo che consente alla canzone di tornare a volare sui registri classici della band.

Ciò che ammiro dei Bad Love Experience è la capacità di mantenere su binari accessibili musica stratificata e indubbiamente manifesta di una proprià complessità armonica, ritmica e strutturale. Li aspetto pronti a dare alle stampe un singolo pop perfetto, che dia alla compagine la giusta affermazione, perchè no, anche al di là delle Alpi, poi della manica e quindi dell’oceano. Pacifico, magari.