I Go!Zilla sono la dimostrazione che qualcosa di buono esiste. Se ne può sentire l’odore nell’aria. Un qualcosa che si chiama futuro.

In Italia non esistono ottimi gruppi, c’è una pessima cultura musicale , andiamo incontro ad un abisso senza futuro e bla bla bla. Queste sono le frasi che sentiamo pronunciare da molti esperti del settore ogni giorno. Ma in realtà qualcosa si sta muovendo, anche se lentamente. Molti giovani ragazzi hanno modernizzato la nostra tradizione, passando dall’elettronica sino ad arrivare all’hard rock più spinto. Certo, c’è una piccola globalizzazione in questa nuova ventata che costringe i più a perseguire vie molto indie, e a cantare in inglese, ma il gioco vale la candela. Tutto parte, se proprio vogliamo avere una visione musicale dostoevskiana, dal sottosuolo, dall’underground, da dove miriadi di gruppi indipendenti (ed interessantissimi) che fino a poco tempo fa suonavano nei garage sono riusciti ad emergere. Parliamo di band come Ufomammut, Mosca Nella Palude, Tribuna Ludu, Zu (anche se non più giovanissimi), Be Forest, gli ahimè sciolti Blue Willa, OvO, His Electro Blue Voice e molti altri. Poi ci sono i dinosauri, come i Massimo Volume, gli Zen Circus e i Giardini di Mirò che fortunatamente continuano a stupirci. I GO!zilla fanno parte di questa nuova ondata di giovani che stanno folgorando l’Italia intera. Abbiamo ascoltato in anteprima il loro lavoro.

La prima cosa che viene in mente ascoltando Sinking In Your Sea è Ty Segall. Difatti il trio toscano traccia la scia del cantautore americano inoltrandosi in un garage-punk sporco e dalle sfaccettature indie. Così ecco arrivare Melting ad innalzare subito l’album riscaldando la temperatura. La successiva title track ci dimostra come il gruppo sia lontano dalla tradizione italiana, suonando nuovo e fresco per le nostre abitudini. Looking in The Mirror è l’episodio più psichedelico dell’album, un immaginario trip tra la route 66 e la Death Valley. Pollution è una botta di adrenalina che riuscirebbe a svegliare i morti, azzannandoci in due minuti con dei riff da urlo. Hiding Haway suona come dei Thee Oh Sees sotto morfina, mentre I Hate All the Time dimostra le attitudini hard-blues del gruppo. I minuti passano lisci senza una sosta, neanche una piccola pausa per rifiatare che parte Down in Your Thoughts (ipotetica hit dell’album?). Poi Rubbish Mind ci prepara per la perla finale. Xilitla è infatti la traccia che ci ha colpito di più, una vera e propria gemma dal fascino ipnotico: una litania tambureggiante e lisergica ci accompagna per gran parte del pezzo per poi scatenarsi in un garage punk senza via di uscita nel minuto finale, uno dei più esaltanti della new wave italiana che lentamente (ma con prepotenza) emerge. Finito l’ascolto ci rendiamo conto che questa ondata di giovani sarà destinata a conquistare pareri positivi, strizzando l’occhio ad uno stile che unisce la musica inglese a quella americana. È la dimostrazione che qualcosa di buono esiste ancora, magari nascosto, ma pur sempre tangibile, se ne può sentire l’odore nell’aria. Un qualcosa che si chiama futuro.