A distanza di 50 anni Aftermath continua ad essere il capolavoro che tutti noi ricordiamo!
“What a draaaaag it is getting old”: Mick Jagger ci mette appena cinque secondi per farci capire cos’è ‘Aftermath’. E’ un grido sprezzante, irriverente, possiamo quasi sentire la risata di scherno soffocata. Che palle diventare vecchi! Ma noi siamo i Rolling Stones, e non proviamo alcuna compassione per voi. Siamo belli e dannati, sporchi e narcisi, simbolo e modello di quella ‘Swinging London’ che per vagonate di giovani ha voluto dire emancipazione rispetto alle generazioni precedenti.
In quei cinque secondi che aprono ‘Mother’s Little Helper‘, prima traccia dell’edizione UK del primo disco totalmente a firma Jagger/Richards, si capisce subito dove gli Stones andranno a parare: ‘Aftermath‘ è un disco scuro e perturbante, che non ha nessun timore a spingersi oltre. Accantonate in un cassetto le buone maniere, nelle quattordici tracce del disco si muove (barcollando) una sfilza di personaggi borderline, immorali e indecenti. Proprio in questo incipit c’è una persona che soffre, una casalinga frustrata di mezza età che abusa di psicofarmaci: ma non c’è pietà! Quello che si evince è in realtà un attacco diretto alle vecchie generazioni dell’epoca. E non è l’unico.
Prendiamo ‘Lady Jane‘, che pullula di doppi sensi. E’ il modo in cui Lawrence si riferiva ai genitali femminili ne ‘L’amante di Lady Chatterley‘. Il riferimento non è casuale: richiama infatti un caso scoppiato nel novembre 1960, quando la Penguin Books era stata querelata per aver pubblicato il romanzo non censurato. La casa editrice fu prosciolta dalle accuse di oscenità, e ciò segnò l’inizio del tramonto dell’autorità morale dell’establishment britannico. Con i doppi sensi di ‘Lady Jane’, gli Stones cantavano per la libertà di espressione, per ribellarsi al conformismo di cui la società britannica dell’epoca era pregna.
Lady Jane live Ed Sullivan Show, 1966 (Brian Jones col dulcimer):
Nonostante rifletta proprio l’atmosfera della ‘Swinging London’, ‘Aftermath’ fu registrato negli States, nello studio A degli RCA Studios di Hollywood. Le sessioni iniziarono nel dicembre 1965, quando il gruppo era agli sgoccioli del trionfale quarto tour americano che aveva visto sempre il tutto esaurito (compresa la data del 29 ottobre a Montreal che si concluse con 30 feriti: stando alla polizia, lo show più violento che il Canada avesse mai visto).
Gli Stones iniziarono il tour da New York. Arrivarono nella Grande Mela il 27 ottobre alloggiando al City Squire Hotel. E’ memorabile l’aneddotica che circonda quelle giornate newyorkesi. Dopo le date canadesi e due show nel New Jersey, i Rolling Stones rientrarono a New York il 7 novembre: quella stessa sera Brian Jones, Bob Dylan e Wilson Pickett avrebbero registrato un brano in uno studio in città. Due giorni dopo, il 9 novembre, la Grande Mela fu colpita dal primo blackout della sua storia, e rimase senza elettricità dalle 5 del pomeriggio alle 5 del mattino del giorno dopo. Quella sera, nella stanza d’hotel di Brian erano ospiti Dylan, Bobby Neuwirth e Robbie Robertson che suonarono le loro chitarre acustiche a lume di candela: naque così la leggenda della “Lost Jam”, paradiso perduto sul quale i fan possono solo fantasticare.
Non è un caso che Brian Jones sia al centro delle storie dell’epoca: se Aftermath suona come suona, è soprattutto perché è colorato dalla creatività della “piccola meraviglia bionda”, come lo definì con (neanche troppo) sottile ironia Keith Richards. Un paio di anni prima, Brian aveva perso interesse nella band: era passato dal ruolo di leader a quello di comprimario dietro a Jagger e Richards, anche per la sua incapacità di scrivere canzoni. Ma la sua abilità come polistrumentista e il suo gusto come musicista gli regalarono un ruolo nuovo e brillante nella nuova direzione intrapresa dagli Stones sotto la forte spinta del produttore Andrew Oldham. Fino ad allora, la band non aveva mai amato stare troppo tempo in studio. Oldham gli impose di cambiare abitudini, e fece in modo di promuovere anche attraverso la stampa un’immagine diversa del gruppo. Fu assunto anche il compositore e produttore americano Jack Nitzsche, pupillo di Phil Spector.
Under My Thumb live, 1966 (Brian Jones suona le marimbas):
Jones si trovò a sguazzare in un mare che mai gli fu più congeniale. Pensiamo ai riff più ricordati del disco: nessuno è suonato da chitarre. C’è il sitar di ‘Mother’s Little Helper‘. Ci sono le marimbas in ‘Under My Thumb‘. Il dulcimer di ‘Lady Jane’. Tutti suonati da Jones. Senza dimenticare il sitar di quella ‘Paint It Black‘ non presente nell’edizione UK ma solo in quella US, uscita nel luglio dello stesso anno. ‘Aftermath’ è anche, e forse soprattutto, questo: il più grande contributo dato da Brian ai Rolling Stones.
Non passò tanto prima che i rapporti interni degenerassero. La vulgata popolare dell’epoca racconta malignamente di come Jones fosse amico di tutti i più grandi musicisti dell’epoca: da Jim Morrison allo stesso Dylan, da Steve Marriott degli Small Faces a Jimi Hendrix, da Lennon a George Harrison. Tutti, tranne due: tali Mick (“Brian era un notevole dilettante. Alla fine non si rivelò una cosa buona per lui, ma sotto il profilo musicale andava bene”) e Keith (“Brian voleva essere diverso da tutti noi, ma non sapeva chi voleva essere. Così si circondava di gente che lo adulava, cosa che irritava profondamente Mick e me”).
L’album, il cui titolo originale sarebbe dovuto essere ‘Can You Walk On The Water?’, ma che la Decca Records si rifiutò di pubblicare con tale titolo perché considerato blasfemo, uscì il 15 aprile in Inghilterra, andando al numero 1 e rimanendo in classifica per 28 settimane. Fu il primo vero assaggio di quello che sarebbero diventati i Rolling Stones. Oggi, cinquant’anni e tanti capolavori dopo, le Pietre Rotolanti sembrano più giovani che mai, tanto che si rincorrono le voci di un nuovo album in uscita quest’anno, confermate da Ronnie Wood.
Scriveva Keats nell’Endimione:
“Una cosa bella è una gioia per sempre | La sua bellezza aumenta e mai | Sparirà nel nulla”.
Qualcuno ha detto Aftermath?
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Se Aftermath non vi basta, ecco il nostro live report sul concerto romano del 22 giugno 2014 degli amati Rolling Stones!