I Kills ritornano alla grande con il loro Ash & Ice.

Qualcuno, probabilmente, ai tempi di Midnight Boom (2008), dava ai The Kills soltanto qualche altro anno di vita, classificandoli come una di quelle indie band buone per uno, massimo due dischi, ma troppo poco talentuosi per rinnovarsi e per infilare due capolavori di fila.

Qualcuno li ha ritenuti una band troppo attenta al capello e poco agli strumenti.

 Bene, la scorsa settimana è uscito Ash & Ice, il secondo lavoro dopo il famoso Midnight Boom. E se quei qualcuno sono davvero esistiti, adesso di sicuro sono muti, e stanno godendo mentre ascoltano il nuovo lavoro di Vv e Hotel, detti anche Alison “sua maestà” Mosshart e Jamie “la mente” Hince.

 

 Il miglior pregio di questo album, diciamolo subito, è quello di andare allo stomaco, come già ci andavano Keep on your mean side (2003) e No wow (2005), senza mai perdere però l’attenzione per i ritornelli killer e la cesellatura delle linee vocali (di nuovo, ridate un ascolto a Midnight Boom, e fatevi ipnotizzare). 

Ma non è l’unico. Anche con questo lavoro, infatti, i Kills hanno confermato una delle loro migliori caratteristiche; quella di cambiare senza snaturarsi. Caratteristica che tra l’altro dovrebbe caratterizzare la carriera di ogni mega-artista, e andrebbe insegnata ai nuovi cantautori pseudo-depressi italiani, che di linee melodiche, intonazioni, suoni fatti a modo non hanno mai sentito parlare e continuano a mescolare le loro poesiucole con quegli obbrobri che osano anche chiamare canzoni.

Basta infatti ascoltare i primi pezzi di questo Ash & Ice per capire come Alison è sempre Alison, ovvero la punk rocker più carica del pianeta, fissata con l’head-banging, le sigarette, e abile a spaccare tutti i palchi che incontra da quando ha vent’anni; e come Hince è sempre Hince, con quel suo modo minimale, imperfetto e irripetibile di suonare la chitarra con cui ha portato il garage blues alla sua quintessenza e che mai finirà di stupirci.

 

The Kills

La copertina dell’album

 

 

 Eppure, proprio all’inizio della opening track, nonché primo singolo dell’album Doin’ it to death, si scopre subito qual’è l’elemento di novità che accompagna le solite buone certezze: l’elettronica. 

Ogni traccia ne è infusa, in modo sapiente e non invadente; intaccate infatti rimangono quella natura bluesy ormai imprescindibile (si ascolti Hard Habit to break), e quella carica primordiale à la White Stripes che pochi gruppi oggi possono vantare di avere (Hum for your buzz, Impossible tracks). 

Non vorrei osare troppo, ma credo di poter dire che nessun’altro album dei Kills abbia così tante atmosfere, e credo che nessun’altro album dei Kills sia così profondo, sia da un punto di vista melodico (Days of why and how) che di suono (Siberian Nights, vedi anche il video a dir poco meraviglioso).

Le sorprese comunque non finiscono qui, visto che, navigando un po’ sul vecchio tubo, ho scoperto che Hince ha suonato praticamente tutte le chitarre di questo album con solo quattro dita a causa di un infortunio che si è  portato via per sempre una di quelle cinque magiche falangi. 

Un’altra novità è che per la prima volta durante i concerti saranno accompagnati da batteria e basso. 

 

Se anche voi avete “il cuore di un cane” (come dice Alison nella seconda traccia, Heart of a dog, simbolo di questo album) e “vi perdete ma rimanendo sempre intorno” non potrete mancare allo show del prossimo ottobre a Milano: lei mangierà il palco, e lui suonerà la chitarra perfettamente, con il suo stile unico e le sue “nuove” quattro dita.