Possono Internet e i big data sostituire la democrazia?

Il mondo sta cambiando e con esso i termini. Il modo di vedere le cose, di viverle. Questione di punti di vista, dicono. Sì, ma cosa accade quando il punto di vista è uno e globale, ed è pure misurato in Zettabyte?

 

Sembrerebbe l’incipit di un romanzo cyber-punk. Un’unione tra 1984 e le paranoie di P.K.Dick. Eppure a quanto pare non è così, stiamo parlando proprio dell’attualità. Mettete da parte la fantascienza, adesso siamo nell’epoca dei Big Data.

 

Ma cosa sono i Big Data? Praticamente una raccolta di dati immensa, che viene analizzata di continuo per essere sfruttata in qualsiasi ambito, dalla promozione pubblicitaria fino alla politica. Tutto ok, direte voi. Ma state tralasciando una cosa decisamente importante a riguardo. Ovvero, i dati analizzati, sono i vostri. Il veicolo principale di queste analisi? I social network naturalmente. Ogni post, foto, video, dato GPS che caricate può finire in qualche dataset di una qualsiasi delle centinaia di grandi aziende che conosciamo. Indagini di mercato sui trend, business intelligence e molte altre attività vengono portate avanti ogni giorno a nostra insaputa, tanto da far venire il dubbio sul vero motivo per cui sono stati pensati i famosi social.

 

E pensare che il fenomeno è decisamente in crescita: oggi i Big Data sono tra le priorità di qualsiasi grande azienda. Il McKinsey Global Institute ha dichiarato che i rivenditori possono conseguire un aumento del 60% dei margini operativi grazie ad essi. Continuando così: I dati sono diventati un torrente che scorre in tutti i settori dell’economia globale. Le aziende producono un volume enorme di dati transazionali e acquisiscono trilioni di byte di informazioni su clienti, fornitori e operazioni. Milioni di sensori in rete vengono integrati in dispositivi fisici come i cellulari, i contatori intelligenti, le autovetture e i macchinari industriali, al fine di rilevare, creare e comunicare i dati nell’era di Internet“.

 

Niente male vero? Così ecco che le multinazionali hanno investito, solo negli ultimi anni, più di 15 milioni di dollari in questo ambito. Un po’ come quello che successe molti anni fa con la pubblicità, solo che stavolta le aziende non si devono stressare così tanto per conoscere i nostri gusti.

 

Pare che il numero di smartphone stia superando quello delle persone.

 

Internet viene usato da circa il 40% della popolazione (oltre i 3 miliardi).

 

2 miliardi di persone usano i social network.

 

Ecco che osservando questi dati giungono alla mente immagini da fantascienza distopica, dove la popolazione viene incatenata con un immenso gioco di prestigio tecnologico. Internet è ovunque, e ci sta guardando.

 

Guarda caso, sono stati proprio i social ad introdurre un nuovo concetto di privacy. Mentre prima guardavamo le foto delle vacanze insieme agli amici, adesso le postiamo direttamente su Facebook arrivando estemporaneamente ad un numero di persone molto più alto. Ed è proprio questo il cambiamento: siamo continuamente incoraggiati a condividere tutto, anche con sconosciuti, senza pensarci minimamente. Uno stato di pensiero  in cui il social fa parte della nostra vita, si è ancorato ad essa. E non farne parte ci allontana dalla società, isolandoci. Postare la foto su FB non è più un gioco. È un’abitudine sociale, come il caffè al bar o il semplice saluto. E lentamente ci avviciniamo al punto di non ritorno, dove saremo sempre all’interno della rete. Noi e i nostri dati.

 

Quindi come fare? Nel 2013 un certo Edward Snowden ha rivelato come certe nazioni attuino una vera e propria sorveglianza di massa, divulgando vari documenti della CIA. La notizia fece molto scalpore (oltre ad inguaiare la vita dell’ex CIA) eppure cosa è cambiato? Siamo sempre qui, a postare stati simpatici su FB senza dargli nessuna importanza. Intanto tutto perde di senso, e con il tempo pure la democrazia svanisce in una bolla di cristallo. Quando internet attraverso i big data saprà pure la nostra inclinazione politica (insieme a tutto il resto), a cosa servirà votare? E se lo sapesse già? Così ecco che le parole del grande Ennio Flaiano diventano spaventosamente attuali e un monito verso le generazioni future.

 

Agire come Bartleby lo scrivano. Preferire sempre di no. Non rispondere a inchieste, rifiutare interviste, non firmare manifesti, perché tutto viene utilizzato contro di te, in una società che è chiaramente contro la libertà dell’individuo e favorisce però il malgoverno, la malavita, la mafia, la camorra, la partitocrazia, che ostacola la ricerca scientifica, la cultura, una sana vita universitaria, dominata dalla Burocrazia, dalla polizia, dalla ricerca della menzogna, dalla tribù, dagli stregoni della tribù, dagli arruffoni, dai meridionali scalatori, dai settentrionali discesisti, dai centrali centripeti, dalla Chiesa, dai servi, dai miserabili, dagli avidi di potere a qualsiasi livello, dai convertiti, dagli invertiti, dai reduci, dai mutilati, dagli elettrici, dai gasisti, dagli studenti bocciati, dai pornografi, truffatori, mistificatori, autori ed editori. Rifiutarsi, ma senza specificare la ragione del tuo rifiuto, perché anche questa verrebbe distorta, annessa, utilizzata. Rispondere: no. Non cedere alle lusinghe della televisione. Non farti crescere i capelli, perché questo segno esterno ti classifica e la tua azione può essere neutralizzata in base a questo segno. Non cantare, perché le tue canzoni piacciono e vengono annesse. Non preferire l’amore alla guerra, perché anche l’amore è un invito alla lotta. Non preferire niente. Non adunarti con quelli che la pensano come te, migliaia di no isolati sono più efficaci di milioni di no in gruppo. Ogni gruppo può essere colpito, annesso, utilizzato, strumentalizzato. Alle urne metti la tua scheda bianca sulla quale avrai scritto: No. Sarà un modo segreto di contarci. Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì. I quali si chiederanno che cosa non viene apprezzato nel loro ottimismo”.