Ora che la Grecia non fa più notizia, la crisi economica che il paese sta attraversando è stata già scordata.

L’aperitivo è la quintessenza della mondanità, è risaputo. Parlare di politica è quindi generalmente considerato più fuori luogo di un rutto in biblioteca. Nella fattispecie, essendo seduto con due ragazzi greci, (li chiameremo Kostas e Zoe) tengo a bada la mia curiosità sulla situazione nel loro Paese e mi conformo ai misteriosi codici dell’Aperitivo.

  

Mentre stiamo blaterando amabilmente di amenità, Kostas dice: “Vorrei tanto poter trovare un lavoro a casa mia, in Grecia”. Mi lascia profondamente spiazzato. Mi rendo conto di non saper bene cosa rispondere: all’improvviso la sensazione di non aver capito nulla della situazione greca si fa plastica, netta. Per un attimo mi abbandono a pensieri seriosi, penso che alla mia generazione manchi una narrazione, una chiave di lettura di questi Grandi Eventi, sommersi da una valanga di informazioni siamo come bimbi spersi in una biblioteca senza catalogo. Poi la smetto di prendermi troppo sul serio e mi ricordo che, molto più semplicemente, io non ho mai vissuto niente del genere.

 

Cosa si prova ad essere lontani da casa, provando a costruirsi come cittadini europei, mentre a casa tua sta andando tutto a rotoli? Come si devono sentire, adesso che nessuno ne parla più? Mi sento genuinamente curioso verso quelle due persone che siedono con me, ma sono pure in imbarazzo. Cosa si chiede in questi casi? Domandare ad un expat del suo Paese in crisi è come parlare con un tuo amico di sua moglie fedifraga: puoi solo essere banale ed invadente. E poi si sa, parlare di politica è socialmente sconveniente: Kostas e Zoe sono persone così diverse, finiranno per litigare e io finirò per tornare a casa prima della fine dell’aperitivo.

 

“Com’è adesso la situazione, in Grecia?”. Ecco, l’ho detto. Le parole mi escono dalla bocca prima che possa pensare a qualcosa di più intelligente, tipo stare zitto. Zoe fa un respiro profondo: “Peggio di quel che credi. Salari estremamente bassi, sempre più gente non copre i bisogni primari. Disoccupazione al 25%, quella giovanile al 40%, i giovani se ne vanno. Quelli che riescono a trovare lavoro sono trattati come nell’Ottocento, se non accettano le condizioni fuori c’è la fila di disperati pronti a sostituirli. Con l’accordo che hanno firmato poi, come può funzionare?”

 

 

“Non funziona, infatti.” dice Kostas, “Ormai ci siamo rassegnati a vivere sotto un oppressore da cui sembra impossibile liberarsi, e non capiamo il motivo.” 

“Scusate, però Syriza ha rivinto le elezioni. Ci credete ancora quindi?”

“Io ci credevo, ma non è cambiato nulla” dice Zoe “io non so se non sono stati all’altezza o se era una battaglia persa in partenza. Abbiamo combattuto e abbiamo perso, c’est la vie. Syriza è come tutti gli altri, eppure le alternative sono persino peggio.”

“Inizialmente hanno portato avanti riforme interne coraggiose, combattendo sacche di privilegio. Hanno alzato l’IVA per le isole dal 13% al 23%, per esempio. Hanno vinto perché l’affluenza alle urne è calata dal 65 al 50 percento e perché i media fanno terrorismo psicologico su un eventuale uscita dall’euro.”

 

“A me sembra che abbiano una specie di ossessione per il privato” dice Zoe, diventando un po’ rossa in viso “Come puoi pensare che alzare le tasse sia una buona idea in questo momento?”

Giocherello nervosamente col calice, facendo roteare il vino. Forse dovrei cambiare argomento adesso, prima che inizino a scannarsi.

“Hai ragione, per posti che vivono di turismo è fondamentale essere agevolati. Dico solo che qualche segnale lo stanno dando, anche se non è abbastanza e la coperta è corta. Il problema è che qualsiasi soldo il governo riesce a raggranellare va a finire nel debito.”

Zoe sospira di nuovo, questa volta come a dire che ha capito. Un sospiro triste. Mi domando cosa possa aver provato durante i mesi peggiori. Cosi domando.

  

“Dov’eravate quando è esplosa la crisi?”

 

“Io ero in Italia. È stato bellissimo vedere il mio popolo tirar fuori quell’orgoglio, ed altrettanto tremendo vederlo mortificato da un accordo sciagurato” dice fiero Kostas.

“Io ero a Parigi per il mio Master” fa eco Zoe “non puoi capire quanto è stato difficile stare là sapendo che se mi fosse successo qualsiasi cosa, la mia famiglia non sarebbe stata in grado di aiutarmi. Mi sono sentita completamente sola. Le scene di vita quotidiana che mi venivano raccontate erano la parte peggiore: gente senza elettricità, senza soldi per il cibo, i supermercati vuoti, le code ai Bancomat anche nel cuore della notte. I pensionati che non avevano la carta Bancomat, con le banche chiuse, che non potevano prelevare neanche un euro. Era come prepararsi ad una guerra.”

 

 

Rimaniamo tutti e tre in silenzio per qualche secondo. Dopo riprendono a parlare, ed è bello stare lì ad ascoltarli, mentre si parlano, delle loro paure e dei loro sentimenti, senza teatro, senza imporre il proprio punto di vista. Mi raccontano di come si siano sentiti confusi di fronte al vero significato del referendum (Euro o Dracma? Ripagare il debito o default? Dentro o fuori l’Unione Europea?), di come non se la sentano di incolpare troppo Tsipras perché quello che ha subito era un ricatto politico bello e buono, di come è diversa la percezione di una figura come Varoufakis in Grecia rispetto al resto d’Europa, di come i media greci e continentali abbiano riportato una versione più che distorta dei fatti. Penso a loro, studenti greci in giro per l’Europa, a quale conflitto interno possano avere di fronte al comportamento dell’Unione Europea.

 

 

“Hanno detto che i greci hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità, che le possibilità di un greco sono minori. Come fa una cosa del genere a definirsi Unione?” dice Kostas.

“Io non capisco la parte in cui se ne fregano della gente che muore di fame. Hanno strizzato il maiale finché colava grasso, adesso che il maiale si lamenta e chiede un po’ di dignità hanno deciso di punirlo” dice Zoe.

Guardo il mio bicchiere di vino, e mi rendo conto che è quasi finito. Con quel tocco di malinconia sdolcinata che si abbina all’ultimo goccio domando:

“Vi sentite traditi dall’UE?”

“Io si, per me è puro imperialismo politico.” risponde secco Kostas.

“Io no, l’Europa è una gran bella idea per cui vale la pena di lottare, anche se il risentimento verso Paesi come la Germania è grande. Spero solo di poter tornare a casa mia tra qualche anno, adesso non troverei mai lavoro.”

 

 

Alla fine capisco perché non si sono messi a battibeccare o ad azzuffarsi come in uno stupido talkshow, ma si sono ascoltati. Mi ricordo che quando si vive per un lungo periodo  all’estero, si finisce per provare un amore incredibile per il proprio Paese, tanto irragionevole quanto inaspettato. Un amore che non ha nulla a che fare con stupidi nazionalismi, ma è piuttosto un fatto privato, qualcosa che ha a che fare con la tua identità più intima, una questione di sapori e di odori, proprio come la pelle di quella ragazza che tanto ti piace. Si capisce da dove si viene, e si è pronti a costruire qualcosa di più grande.

 

 

Forse diventare europei significa proprio questo, e forse lo stiamo facendo. Kostas e Zoe diventeranno forse europei, nonostante l’Unione Europea. Il calice è vuoto adesso, l’aperitivo è finito, ed io, nonostante le brutte notizie, nonostante la brutta aria che tira, ho un pensiero felice ed una speranza in più.