Il ponte sullo stretto attraverso cronache di mari, monti e promesse incompiute.

Elefanti e tunnel sottomarini

Rullano i tamburi, squillano le trombe: il Ponte sullo Stretto s’ha da fare.

La tormentata campagna referendaria, disorientata dalle scosse telluriche e distratta da terremoti politici – d’Oltremanica e d’Oltreoceano – rappresenta solo l’ultima puntata dell’infinita storia di questa mega infrastruttura, che fin dall’antichità alimenta i sogni visionari e occupa le agende politiche dei nostri governanti.

 

In principio fu Lucio Cecilio Metello console di Roma, nel 264 a.C., che a seguito di una grande vittoria sui Cartaginesi, volle costruire un ponte di barche tra Sicilia e Calabria per portare a Roma a mo’ di trofeo una quarantina di pachidermi punici. Poi Carlo Magno e i Re normanni di Sicilia fino ad arrivare al ministro della giovane Italia unita Giuseppe Zanardelli, che nel 1876 dichiarò «Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente».

 

Il devastante terremoto del 1908 di Messina accantonò per un po’ gli ambiziosi progetti, che però ritornarono con Mussolini, convinto di costruire un tunnel sottomarino una volta conclusosi il conflitto mondiale. Ma nel 1981 fu il governo Forlani a dare un’importante accelerata, fondando la Stretto di Messina S.p.a., società incaricata di ricevere e studiare i progetti per l’infrastruttura. Craxi rilanciò il progetto prima dello scoppio di Tangentopoli, e Berlusconi ne fece uno dei capisaldi delle sue diverse campagne elettorali. Il ponte, quasi a scadenze regolari, ripartiva con il Cavaliere – che nel 2005 affidò l’appalto per costruire il ponte al consorzio Eurolink – e finiva sul binario morto con i governi di centrosinistra.  Fino ad arrivare alla crisi economica e alla politica di austerity del Governo Monti che tra tagli e manovre ha sferrato il colpo di grazia al progetto, con la messa in liquidazione della Stretto di Messina S.p.a.

 

L’ultimo episodio l’ha scritto il premier Matteo Renzi, che ha rilanciato l’idea del Ponte – camuffandola cautamente sotto l’etichetta della “Napoli-Palermo” – alla festa dei 110 anni dell’impresa di costruzioni Salini-Impregilo (capogruppo del consorzio Eurolink, ndr).

 

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Già nel 1965 il ponte occupava le prime pagine

 

 

Il balletto del progetto del Ponte sullo Stretto

Questo inquietante e ciclico riproporsi dell’idea della costruzione del ponte ha forse motivazioni mitologiche e trascendentali. Secondo i più romantici rappresenta un tentativo artificioso ed estremo dell’uomo italico di dominare la natura in quei luoghi che Omero utilizzò per ospitare i mostri marini di Scilla, il dilaniante mostro a sei teste, e Cariddi vortice mortale nelle acque. Un ammasso di cavi d’acciaio, di torri e piloni per collegare le due coste, in barba alle raffiche di vento e alle faglie ballerine.

 

Secondo i più disincantati, la promessa del ponte si ascrive a quel populismo d’antan che ha sempre caratterizzato la nostra roboante “dichiarazia”. Chimeriche promesse di sviluppo, di creazione di posti di lavoro, sbandierate speranze di rinascita per la novella penisola “Calabro-Sicula”.

 

Ma l’incompiutezza del ponte è da ricercare nelle insormontabili difficoltà ingegneristico-ambientali o nell’indecisionismo e disfattismo del mai contento popolo dello Stivale?

 

I progetti di attraversamento stradale stabile e ferroviario dello Stretto raccontano di un tunnel a mezz’acqua – ancorato al fondo mediante cavi d’acciaio – abbandonato per i rischi di maremoto, di ponti sospesi a 3 o 5 campate finiti nel dimenticatoio per l’impossibilità di gettare nel profondo mare i piloni di sostegno, e di un ultimo progetto approvato dalla Stretto di Messina S.p.A. di un ponte a campata unica di 3300 metri. Un’enorme banana di cemento sostenuta da due piloni, l’uno in terra sicula, l’altro in terra calabra, dell’altezza della Tour Eiffel. Il ponte a campata unica più lungo del mondo, del 42% superiore rispetto all’Akashi Bridge in Giappone, fermo a 1991 metri.

 

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Simulazione del progetto di ponte a campata unica

 

 

Le concrete problematiche idrogeologiche (i fondali marini irregolari e profondi, le correnti impetuose, i forti venti, la tipologia del suolo sulle coste e l’elevata sismicità della zona) unite alle infinite giravolte della classe politica, han fatto sì – per dirla come una filastrocca – che il progetto del Ponte sullo stretto, restasse un sogno nel cassetto, o al più, un inutile e logorante balletto.

 

Se si osserva bene, questo circus un ponte in realtà l’ha costruito. Il ponte esiste. Fa votare, bandire gare d’appalto internazionali, commissionare studi di fattibilità, progettazioni e consulenze varie. E porta in tribunale lo Stato: la summenzionata Impregilo ha chiesto un risarcimento di oltre 790 milioni di euro, a seguito del “No” al progetto del Governo Monti.  Che aggiunti alle stime della Corte dei conti – oltre 300 milioni spesi nel periodo 1981-2012 – arrivano su per giù al miliardo di euro. Una discreta somma, si badi bene. Forse sufficiente per procurarsi l’alabarda spaziale di Goldrake Ufo Robot e sconfiggere il male nel mondo ma di sicuro non in grado di portare un siciliano in Calabria e viceversa (ad oggi, il trasporto sullo Stretto è affidato a Caronte. Sì, la compagnia di traghetti ha lo stesso simpatico nome del traghettatore del regno dei morti).

 

Un miliardo di euro – se si preferisce la mitologia greca ai cartoni animati – dilaniato dalla morsa assassina di Scilla e colato a picco nelle gole profonde di Cariddi.

 

E al Sud? Dove eravamo rimasti?

In mezzo a questo deprecabile ambaradan, il Mezzogiorno continua ad affondare soggiogato dalle mafie, dalle clientele e dalla malapolitica. Il Sud muore quotidianamente.

 

Muore negli obsoleti treni a gasolio che marciano a 14 km orari. E lungo il binario unico, dove gli stessi treni, come quest’estate ad Andria, giocano all’autoscontro lasciando cadaveri e tingendo di rosso l’oro perlato degli ulivi.

 

Muore nelle sistematiche inchieste e negli arresti per corruzione che seguono automaticamente il completamento di lotti autostradali della Salerno-Reggio Calabria realizzati con cemento di sabbia collosa. Muore nella disoccupazione giovanile e nei finanziamenti dell’Unione Europea a sagre e sale bingo.

Muore avvelenato dall’immondizia sotterrata, nelle coste devastate, nel mare stuprato, nei vincoli paesaggistici violati dall’abusivismo più feroce.

 

Al di là del vittimismo delle lagne neoborboniche e dei rancori della “conquista piemontese” le responsabilità sono da ascrivere tanto agli sciacalli politici e imprenditoriali del nord quanto ad una larghissima fetta della classe politica meridionale, ingorda, incompetente e spesso collusa con la criminalità organizzata.

 

Il naufragio del Sud ha innescato un drammatico “si salvi chi può” che ogni giorno strappa a queste terre i suoi figli migliori, in un fuggi fuggi generale che svuota le università, le imprese, le strutture sanitarie, le campagne e le città meridionali. 

 

Questa terra, isolata nel declino di autostrade interrotte e sistemi ferroviari da seconda guerra mondiale e condannata all’immobilismo da mafiosi senza scrupoli e politici dal capo chino, non è del ponte che ha bisogno. Semmai dell’alabarda spaziale. E di Goldrake Ufo Robot.

 

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Goldrake Ufo Robot e la sua alabarda spaziale

 

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