Ogni azione umana, anche la più banale, è gravida di conseguenze.

Il sedici dicembre sono andati in onda sul canale satellitare Sky Atlantic i primi due episodi della serie televisiva americana Fargo, ispirata all’omonimo capolavoro dei fratelli Coen (datato 1996), qui in veste di produttori esecutivi. La serie tv, ideata da Noah Hawley, sviluppa invero una storia originale rispetto al film da cui è tratta ed è destinata ad estendersi lungo un arco narrativo di dieci puntate (la stagione sarà autoconclusiva, sulla falsariga del recente True Detective). Tuttavia è impossibile non riconoscere in essa la profonda influenza della poetica coeniana, ben al di là del singolo film di cui è evidente debitrice. Ma andiamo con ordine.

Dal film del ’96 la serie riprende innanzitutto l’ambientazione. Il gelido inverno del midwest americano, tra Minnesota e North Dakota, è la perfetta cornice entro la quale si sviluppano le vicende, intrecciate, di un manipolo di personaggi che possono a ben diritto assurgere a veri e propri archetipi del (micro)cosmo tragicomico dei fratelli Coen. I protagonisti della serie, benché originali, rimandano chiaramente ai “vecchi” personaggi del film, in alcuni casi perfettamente sovrapponibili. Lester Nygaard (Martin Freeman nel ruolo che fu di William H. Macy) conduce un’esistenza insignificante, mediocre assicuratore e marito inappagante è l’ennesimo uomo senza qualità coeniano, il Larry Gopnik di A serious man. Capitato al pronto soccorso per farsi controllare il naso, rotto in seguito ad un diverbio con un vecchio compagno di scuola (ex bullo, ora arrogante imprenditore di successo), incontrerà del tutto casualmente Lorne Malvo (Billy Bob Thornton), un malvivente da poco arrivato in paese. È da questo incontro che di lì a poco prenderanno avvio gli eventi destinati a sconvolgere l’apparente tranquillità di una cittadina di provincia immersa nel bianco torpore invernale.

Fargo serie tv - fratelli Coen

I presupposti che scatenano una tragica spirale di omicidi, benché diversi rispetto al film, hanno comunque la medesima origine: ogni azione umana, anche la più banale, è gravida di conseguenze. Una battuta sussurrata, una parola di troppo, una semplice omissione possono essere (e saranno) la miccia che scatena l’evolversi drammatico degli eventi. Chiamata a dare risposte ad una serie di coincidenze inquietanti e a ristabilire ordine e giustizia sarà la giovane, risoluta e talentuosa detective della polizia locale, Molly Solverson (Allison Tolman nel ruolo che fu di Frances McDormand). Molly rappresenta la faccia pulita di un Paese indolente, stolto e irrimediabilmente corrotto, l’ultimo appiglio al quale aggrapparci, se crediamo ancora in una possibile redenzione.

Ma il vero elemento di discontinuità, rispetto al lungometraggio, sta nella caratterizzazione del malvivente perfettamente interpretato da Thornton, Lorne Malvo. Nel film i due delinquenti assoldati dal protagonista Jerry Lundegaard per sequestrare la moglie erano, al pari di quest’ultimo, due cialtroni imbranati ben poco affiatati la cui totale imperizia sarà causa dell’evolversi tragico delle vicende. Nella serie, invece, la scelta ricade su un unico criminale i cui connotati sono completamente ribaltati: freddo, cinico, inquietante, sottilmente ironico richiama alla mente quell’Anton Chigurh interpretato da Javier Bardem in Non è un paese per vecchi. Oggi, come allora, autentica personificazione di una violenza (apparentemente) irrazionale e per questo ancora più inquietante. È proprio vero. Il male c’è. E cammina in mezzo a noi.