Quentin Tarantino, dopo aver premiato Old Boy a Cannes nel 2004, lo ha definito: “il film che avrei voluto fare”. 

Old Boy riesce ad incuriosire sin dall’inizio. Oh Dae-su (un credibilissimo Choi Min-sik) è un uomo come tanti altri, sposato e padre, che la sera spesso si lascia andare, destreggiandosi tra varie spasimanti e sbronze di gruppo. Anche in quella fatidica sera Dae-su si ubriaca e viene fermato dalla polizia. Al suo rilascio, improvvisamente, scompare nel nulla senza lasciare traccia.
Comincia qui l’incubo infinito di Dae-su che, al suo risveglio in una triste stanzetta senza porte né finestre, si accorge di essere tenuto prigioniero da qualcuno. Ma da chi? E per quale ragione?
I giorni passano e le risposte non arrivano. Non si vede anima viva, non si sente una parola, nemmeno con il passare degli anni. Sì, perché nel frattempo i giorni stanno diventando mesi, e i mesi anni. Saltuariamente Dae-su viene stordito da un gas, rasato, lavato e rivestito con abiti puliti. Ma l’uomo non vede mai il suo silenzioso e misterioso rapitore, né nessun altro. È solo con sé stesso. Dunque – chiediamocelo – esiste al mondo un destino peggiore?
Solo una piccola e malconcia televisione lo collega con il mondo. Unico compagno meccanico da cui un giorno apprende il peggio: sua moglie è stata assassinata e Dae-su è proprio il principale sospetto. Chi può averlo fatto? Chi può odiarlo a tal punto? Nessuna risposta, nessun contatto umano, nemmeno stavolta. Il tempo scorre inesorabile, tutto tace, e Dae-su lentamente scivola in una spirale di follia e tentati suicidi. Ma togliersi la vita non gli è permesso, l’uomo deve restare in vita e in salute.

 

Ed ecco che scatta la rabbia: forse non potrà mai sapere chi lo ha rapito e perché. Quello che Dae-su sa per certo è che se mai uscirà, il suo unico scopo di vita sarà trovare il suo aguzzino e finalmente vendicarsi. È fondamentale perciò preparare il corpo alla battaglia, scolpirlo e fare di esso un’arma letale. Il tempo continua a scivolare via, accompagnato dalla silenziosa furia di Dae-su, sempre più allenato, determinato e concentrato.
Poi accade qualcosa. Dopo quindici lunghissimi e solitari anni di prigionia, inspiegabilmente Oh Dae-su viene rilasciato. Così, all’improvviso, apparentemente senza un motivo, senza una spiegazione. Si risveglia esattamente dove un tempo era stato prelevato. Tutto è cambiato nel frattempo, Dae-su non riconosce più la sua città. Perché, dopo tutto questo tempo, è stato liberato?
Finalmente dal nulla una risposta arriva. Da un cellulare, fornitogli assieme a dei contanti, da un clochard: una voce gelida, quella del suo rapitore, gli dà cinque giorni di tempo per trovarlo.
Oh Dae-su entra sconvolto in un ristorantino, dove conosce la giovane Mi-do, la quale, inaspettatamente intenerita dal burbero uomo, decide di ospitarlo a casa sua. Tra i due nasce quasi subito un forte sentimento, ma il desiderio di vendetta di Dae-su supera quello per la ragazza. Così la coppia si mette alla ricerca dell’uomo che ha tolto a Dae-su quindici anni di vita. Ricerca che, ben presto, darà i suoi terribili, atroci, sconvolgenti frutti. Una lunga strada verso la verità, verso una libertà che in realtà continuerà a farsi sempre più rarefatta.
Detto ciò, niente di più si può dire su questa meravigliosa e dolorosa storia di vendetta, fatta di lucida cattiveria e tanta violenza. Le immagini di Park sono perfettamente costruite nella loro armoniosa crudezza (basti pensare al lungo piano sequenza che ospita la lotta a mani nude tra Dae-su e una cinquantina di suoi rivali, abbattuti con fatica uno dopo l’altro – impossibile qui non ripensare al tarantiniano Kill Bill e alla splendida battaglia tra la Sposa e gli Ottantotto Folli). Un lungo viaggio verso l’inferno del desiderio infinito di vendetta, capace di creare una spirale vorticosa senza una fine possibile.

 

Old Boy è – insieme a Kill Bill di Quentin Tarantino – la pellicola che meglio omaggia la vendetta. È un film sulla vorace vendetta di un uomo, la quale è però basata su un’altra terribile vendetta, forse la più sconcertante mai vista al cinema. Old Boy è un capolavoro sotto ogni aspetto, un razionalissimo e lucido incubo meraviglioso, perfettamente costruito ed equilibrato. Un film da rivedere centinaia di volte senza annoiarsi mai, una storia terrificante e spietata, solidamente edificata da un regista abilissimo e meticoloso. Niente è messo a caso nel film di Park, ogni inquadratura è calcolata e perfettamente funzionale all’insieme. La splendida colonna sonora è infine la ciliegina sulla torta.
Old Boy è un film che lascia il segno in modo indelebile; è una pellicola indimenticabile nella sua straziante perfezione. È uno di quei rari e preziosi prodotti cinematografici che ci fa ricordare che cosa significhi fare buon cinema.

 

Il cinema è innanzitutto un generatore di storie, una sorgente di nuovi meravigliosi mondi e personaggi da scoprire. Ed è esattamente questo che fa Old Boy: ci mostra una delle migliori storie mai portate sul grande schermo. E lo fa con una tecnica mirata e precisa, caratterizzata da un’inclinazione claustrofobica e focalizzata su ogni minimo dettaglio. Un uso intelligente del montaggio lascia spazio a ritmi iper dinamici che lasciano senza respiro alternati a giustificati momenti di stasi in cui tutto sembra fermarsi.
Old Boy è un film che non risparmia niente e nessuno, dove la giustizia assume un senso tutto suo, dove non ci sono né vincitori né vinti, dove ci si gioca il tutto per tutto.
Guardare questa pellicola equivale a migliorarsi, a crescere, cinematograficamente e non.
Non hai mai visto Old Boy? Va bene, continuiamo così, continuiamo a farci del male”.