Critica a Sanremo come festival di mediocrità, con Carlo Conti ed altri pupazzi, accompagnata da un breve racconto di due giornalisti in cerca di autografi.

Cosa…

Ok, ok. Me ne sto chiuso in camera grondante sudore da circa un’ora (nonostante la temperatura sia tutto all’infuori che calda) e faccio esercizi di respirazione per tentare di allontanare la tensione. Ora, togliendo il fatto che fumare circa 10 sigarette in 60 minuti non è una buona idea se si cerca di fare esercizi di respirazione, dovrei spiegarvi il motivo della mia inquietudine, se così vogliamo chiamarla. E la risposta è abbastanza banale. Devo fare un articolo sul Festival di Sanremo. Che cosa semplice, direte voi. Beh, per me non lo è affatto, visto che non esiste niente di più lontano dal mio mondo e su cui sono così disinformato. Aggiungete il fatto che, quest’anno, mentre il famoso festival della musica italiana veniva trasmesso dalla nostra amata Rai (ed una di queste parole è ironica, decidete voi quale), me ne stavo steso sul letto, delirante a causa di una improvvisa febbre, durante la quale il mio corpo ha raggiunto una temperatura media di 38,5 gradi che non ne voleva proprio sapere di abbassarsi. Anzi, andava sempre più aumentando nonostante il mio consueto bombardamento di medicinali per allontanarla (le aziende farmaceutiche dovrebbero spedirmi ogni anno un regalo come cliente modello), ed io a causa di questo riscaldamento corporeo davo numeri immaginandomi enormi balene che mi ingurgitavano. Ecco, se c’è un mistero nella mia vita, è proprio questo: non sono mai riuscito a capire perché, ogni volta che la febbre supera una certa temperatura, arriva a tormentarmi sempre la solita visione costruita da fottute balene. Ogni volta, giuro. Ma torniamo a noi. Sanremo, sì. Certo, non che in un ipotetico scenario alternativo senza la febbre l’avrei guardato. Anzi, non ricordo di aver mai visto un solo minuto, no anzi, un solo secondo del festival nella mia vita. Addirittura non ho neanche mai visitato la ridente cittadina di mare, che per me si colloca in uno spazio geografico imprecisato tra Viale dei Giardini e Parco della Vittoria (sì, me la immagino ricca e lussureggiante, almeno su questo credo di avere ragione). A peggiorare ulteriormente la situazione, c’è un altro fatto, sottovalutato da molti. Quello del Festival di Sanremo è un tema importante e maledettamente difficile. Un vero banco di prova. È un tema importante perché è una delle grandi tradizioni italiane (insieme alla pizza, al calcio, alle chiese e alle nostre incredibili doti sessuali, poco credibili ultimamente ad essere onesti vista la tendente globalizzazione del nostro popolo che non ci rende più poi così speciali). Così il festival assume il ruolo di portavoce della nostra popolazione, delineando i pregi, i difetti di un’Italia che stenta, il che lo rende estremamente importante aumentando la mia sudorazione. E, da buon ansioso, tendo ad agitarmi quando qualcosa di importante mi obbliga a delle responsabilità (di pubblicazione in questo caso) e continuo a fumarmi una sigaretta dietro l’altra, cercando qualcosa che possa aiutarmi. Addirittura in un certo momento ho pure pensato di inventarmi una scusa per tirarmi fuori da questo impiccio, e le diverse opzioni erano le seguenti: a- un ulteriore ritorno della febbre che mi impedisce di scrivere; b- un improvviso malore di qualche lontano parente appena scoperto che costringe l’intera famiglia all’esodo; c- una grave ferita alla mano destra causata da un incidente mentre facevo parkour, che rimane paralizzata per i giorni esatti in cui devo scrivere; d- miscellanea. Ovvero una serie di eventi concatenati (che non sto neanche ad elencare) talmente incredibili da risultare credibili. Ovviamente, qualsiasi fosse stata la scelta, poteva risultare leggermente “losca”, così ho deciso di eliminare l’opzione bugia.

Come avrete ben capito tra me e il Festival di Sanremo non corre buon sangue. I motivi sono numerosi, e neanche eccezionalmente originali, direi. Ma, prevalentemente, mi limito ad odiarlo perché la sua offerta musicale (ma si può parlare veramente di un festival basato sulla musica?) è imbarazzante, ed in più toglie visibilità a molti gruppi italiani che la meriterebbero più dei buffoni provenienti dai talent show. Senza tralasciare che l’intero format dello spettacolo, a partire dalla regia, puzza di ipocrisia e mediocrità, rendendolo insopportabile e noioso. Per uno come me, cresciuto a suon di Fugazi e Sonic Youth, vedere la reunion di Al Bano e Romina credo sia la cosa meno interessante al mondo. Eppure sarebbe possibile migliorare decisamente Sanremo, ed anche abbastanza semplicemente. Ma lascio le soluzioni al termine dell’articolo, dato che un’illuminazione mi ha appena suggerito dove trovare aiuto per continuare lo scritto. E dove, se non in google, una delle tante nuove divinità via ethernet della nostra generazione? Difatti, grazie al motore di ricerca, posso limare lo svantaggio dovuto dalla mia mancata visione del festival. Così apro link, collegamenti ipertestuali, leggo interi articoli, e improvvisamente sono capace di darvi alcuni dati importanti sul nostro caro festival. Eccoli. Il festival, giunto alla sua 65esima edizione, è stato presentato dal nostro simpatico abbronzato perenne Carlo Conti (che si è inventato lo slogan di “Tutti cantano Sanremo”…mh ok), dalla fanciullesca Arisa (non ditemi che è la tipa di “Sincerità”…ah, è lei…), da Emma (non ho abbastanza info per commentare, bel nome comunque) e dalla conduttrice spagnola Rocio Munoz Morales (boh). Vincitore della sezione campioni è stato il trio Il Volo con la canzone “Grande Amore” (beh, che grande notizia direte voi. Io non lo sapevo, e continuo a non avere la più pallida idea di chi siano sti tre ragazzini). La sezione Nuove Proposte va invece a Giovanni Caccamo con Ritornerò da Te (no comment). Il Festival è costato 15,7 milioni e ne ha incassati 21, senza contare i 700mila euro di biglietti venduti. Inoltre ha ottenuto un grande successo di ascolti, il migliore degli ultimi 10 anni!!! (dico io, ma siete così tanti a non avere nulla da fare?), con una media di circa 10 milioni (media che ha raggiunto il suo picco con l’apparizione di Conchita Wurst, cachet 120mila euro, 53,21% lo share, la drag queen che ha dato il tocco sbarazzino/grottesco al tutto e che mi fa pensare che la credibilità da dongiovanni degli italiani sia veramente in calo). 5 milioni l’incasso del Casinò di Sanremo nel mese del festival, con il consigliere d’amministrazione che proclama orgoglioso: “Quando la città risponde, noi rispondiamo” (???). Preoccupante il dato riguardante la fascia di età dei telespettatori. Difatti viene fuori che la maggior parte delle persone che hanno visto il festival (poco più del 50%) avevano un’età compresa tra i 15 e i 24 anni. Questo distrugge in un solo secondo la concezione che avevo fino ad adesso del target di pubblico conquistato da Sanremo. Insomma mi immaginavo che, la prima serata di Sanremo, le nonne stessero incollate alla tv mentre i nipotini escono per sfondarsi di bonghetti. Adesso il trend sembra essersi invertito e sono le anziane signore a sfrizionare mentre i giovani se ne stanno seduti sul divano a cantare a squarciagola le canzoni dei loro nuovi idoli “Il Volo”. Tutti dati su cui riflettere, direi. Come deve far riflettere appunto l’incremento di share per un festival che, a detta di molti, è stato di una mediocrità allarmante. Eppure il pubblico a casa è felice, e paga il canone con il sorriso stampato in faccia. Dove andremo a finire? Cosa saremo tra altri 10 anni? Una generazione di Sanremo-dipendenti? E con queste domande mi accorgo che l’articolo è quasi fatto, e l’ansia comincia a calare come una sbornia da 5 cocktail (ma non il mio consumo di sigarette). E solo adesso mi viene in mente che, diamine, mi era stato chiesto un racconto su Sanremo, qualcosa di narrativo. Ricordo i consigli del mio direttore e di alcuni miei colleghi. Il primo si raccomandava preoccupato di non usare troppo nichilismo e di non essere troppo misantropo come è spesso mia abitudine, uno mi consigliava come lettura per ispirarmi nella stesura dell’articolo “La vista da casa Thompson” dell’immenso DFW, l’ultimo invece in uno sbalzo di fantasia proclamava che il modo migliore per scrivere un racconto su Sanremo era centrarlo su una famiglia di scimmie che si guarda il festival (???). Naturalmente, non ho dato retta a nessuno, ma potevano immaginarselo. Ora, almeno un piccolo racconto, glielo devo.

 

Così, ecco cosa dovevo scrivere

Il treno tratteggia le sue solite traiettorie fatte di ghirigori sfreganti le montagne ed il mare, e, nell’arco di un sogno ed una accesa discussione con dei maleducati, siamo arrivati. Il sogno, era un qualcosa di perlaceo che prevedeva il nostro arrivo a destinazione, seguito da un lungo tappeto rosso che appariva magicamente sotto i nostri piedi dopo ogni passo, accompagnandoci fino al Teatro Ariston in un’entrata ad effetto sublime. Della discussione parlerò dopo. Siamo io e mio cugino, rispettivamente Carlo e Andrea, 28 e 35 anni. Io sono quello con gli occhiali, pallido, sudaticcio a causa del viaggio e con qualche chilo di troppo. Mio cugino è l’energumeno che mi sta accanto, un gigante dal cuore d’oro. Siamo cacciatori di autografi, così eccoci fiondati verso il Festival di Sanremo, pronti a riempire il nostro quaderno autografato di nuovi memorabili nomi. Scendiamo dal treno e noto con dispiacere che il tappeto rosso non vuole comparire. Certo, questa è la realtà, che getta verso i miei occhi un sole felice ed il classico clima mite, piacevole, di Sanremo. Mio cugino si volta verso di me e sussurra: “Certo che era proprio un gran maleducato quel ragazzino”. La voce calma e soffice che esce da questo bestione non è mai credibile. Non sembra allineata alla corporatura. Ma fa niente. Gli voglio bene lo stesso. Il ragazzino in questione è la causa dell’accesa discussione. Difatti se ne stava con un suo gruppo di amici, dei fattoni probabilmente, e in gruppo, si divertiva a farsi beffe del festival e dei suoi protagonisti, immaginandoli così: “Carlo Conti che si spacca abbestia mentre Emma e Arisa vengono trovate nel camerino a toccarsi. La Morales arrestata fuori dall’Ariston per spaccio di Viagra e barbiturici ad un folto gruppo di anziani, Nek che sputa sul pubblico alzando il dito medio e il trio Il Volo accusato di abuso di ketamina arriva barcollante sul palco, mentre uno dei tre comincia a vomitare senza decenza”. I ragazzini se la ridevano trastullandosi con le loro fantasie oscene su un festival “alternativo”, ma mio cugino non l’ha presa bene, ed è partita la ramanzina. Naturalmente il gruppetto, vedendosi sovrastare dalla massa enorme del cuginetto, si è immediatamente calmato. Così eccoci ammassati fuori dal Teatro Ariston, letteralmente ingurgitati da una folla di umanità sorprendentemente variegata. Giovani teen con enormi telefoni in mano, comitive di vecchietti che cantano canzoni del passato arzilli, coppie innamorate, coppie annoiate, fan incalliti ed integralisti, sosia di Vasco Rossi che si staccano dalla folla in cerca di un attimo di gloria. Tutti lì in attesa delle star comunque, ed eccole che arrivano. Alla prima ondata tiriamo fuori penna e quaderno come fossero una spada e uno scudo e cominciamo a lottare per arrivare in prima fila. Ma veniamo risucchiati dal vortice di persone. La seconda ondata ci siamo, lì davanti a tutti, ma la stellina tira dritto senza rilasciare autografi. La terza ondata è forse la più sfortunata, visto che la celebrità si stufa di fare foto ed autografi dopo circa 2 minuti, arrivata a pochi metri da noi. Mancava così poco. Demoralizzati e stanchi, decidiamo di cambiare tattica. Stiamo sempre in prima fila, ma senza agitarci e facendo finta di niente, in attesa che sia la star a venire da noi scegliendo autonomamente di farci un autografo. La psicologia inversa si rileva una scelta sbagliata, naturalmente. Finalmente l’ultima e quinta ondata ci va bene, e in mezzo al delirio riusciamo a conquistare un autografo. Usciamo dalla folla per osservarlo e noto il viso deluso di mio cugino. Abbiamo buttato via una giornata. “Cazzo…ma questo è l’autografo di Moreno” esclama accartocciandolo e buttandolo nel primo cestino che trova.

 

…Sa(n)remo?

Sì, avete ragione. Il racconto non era niente di che. Ma in fondo neanche il festival, vero? Comunque ora posso dire di sentirmi più preparato sull’argomento, e di poter trarre delle conclusioni:

1- in realtà è impossibile migliorare il festival come ipotizzavo sopra, e forse è giusto così
2- è giusto che i gruppi italiani che più stimiamo non partecipino a Sanremo, altrimenti la nostra stima verso di loro cadrebbe maledettamente
3- giusto pure che i gruppi italiani alternativi emergenti restino nell’oscurità. Non facciamoli rovinare dal putrido mondo dello show business
4- mi sono ascoltato la canzone de Il Volo. Ok, togliendo il fatto che in Italia dovremmo vergognarci della nostra inesistente cultura musicale, la loro vittoria mi sembra un’eclatante operazione di marketing costruita a tavolino; insomma, tutti sapevano sin dall’inizio che avrebbero vinto loro, no? Almeno è stato l’unico mio pensiero sul festival prima che cominciasse. Ho visto un’intervista dei tre giovincelli è mi è parsa subito chiara la cosa
5- ho fatto altre ricerche sulla Morales e devo ammettere che è qualcosa di fantastico
6- Ho pure visto l’esibizione di Platinette. Ora, non fraintendetemi ve ne prego, non ho niente contro gli omosessuali e chi si traveste. Ma forse loro dovrebbero avere qualcosa contro Platinette, non trovate?
7- probabilmente continuerò la mia tradizione e non guarderò neanche la prossima edizione di Sanremo
8- ad osservare alcuni post su Sanremo ho notato come il nostro linguaggio scritto rischi di essere soppiantato definitivamente dalle emoticon, ma questo non c’entra niente

Ah, dimenticavo: alcune indiscrezioni dicono che Carlo Conti abbia già scelto gli ospiti internazionali per il prossimo anno. Se siete fan del festival, li amerete.