Perché nessuna ricerca o insieme di resoconti scientifici sarebbe in grado di districare le difficili ragnatele della dipendenza dall’amore.

“…Perché vuoi scrivere di noi? Non voglio essere sulla bocca di tutti.
Anche se le parole hanno un significato sempre più relativo non puoi sottostimare la loro rilevanza.
Per una vita ho cercato un senso, un equilibrio che potesse glaciare le mie smanie;
ed ero in procinto di rinunciare e abbandonarmi all’idea che sarei rimasta sola.
Non fraintendermi, non alludo a nessuna ricerca spasmodica di esseri umani…
Sola, con le mie profondità da subissare, con i miei sussulti da mimetizzare, colpevole forse di pose sbagliate e colori troppo accesi.
E invece, proprio nel momento in cui ti dilunghi per rendermi più bella, mi sembra di capire.
Così reali, così esplosive e poco dignitose, le tue parole hanno stracciato le mie ricerche di ignobili libertà.
Eppure sono qui, immobile, senza speranza, avulsa negli spazi della tua mente malata.
Ogni tanto ti sento piangere nella notte, gridi il mio nome ad alta voce, e alimenti scalpore.
Ogni volta che mi nomini fomenti i sospetti, agiti gli equilibri della realtà, la stessa per cui, qui ed ora, io non esisto.
Le responsabilità hanno tentato di imprigionarti, e malgrado tu sia il traditore del tuo stesso corpo, sei anche il fabbro in grado di rompere la cella di carne in cui vieni tenuto, sei il tuo stesso ostaggio, il tuo stesso lasciapassare in grado di privilegiare la tua incolumità.
Non puoi fingere di essere qualcun altro, non c’è nessuno come te.
Le tue fattezze sono così riconoscibili che anche le maschere assumerebbero il tuo volto.
Forse potresti simulare di essere te stesso, ma nessuno crederebbe che tu sia uscito di qui, ti prenderebbero come pazzo. Ti ucciderebbero.
Immagina, saresti impiccato nel tentativo di essere semplicemente quello che sei.
Come vedi la tua verità, fuori da qui, è legata alla morte,
perciò continua a fingere. Gioca ancora a fare Dio.
Affondano, come i tasti di avorio sui piedi di un pianoforte che spicca di fronte a un pubblico non pagante, i tuoi sguardi, mi rendono facile da spogliare.
Osservo il tuo volto, e illuminato da una luce fredda, impropria, ti sento sgualcire i pensieri, strappare le rime e scartare le parole, in cerca di una vena creativa che mi renda ancora più viva.
Oggi, come ieri, noto le ombre sulla tua faccia allungarsi e fasciarti la bocca; la inchiodano ai lati e, senza stremarla, la spingono verso il basso come una luna rovesciata.
Intanto i tuoi respiri si fanno più densi, richiami l’aria con la voce, mentre la condensa, evanescente per il freddo, mischia i colori, scaldandomi la pelle.
Senti il tuo corpo, ascolta come muore…
Stai capendo, finalmente.
Non puoi scrivere di noi.
Ti abbassi inutilmente in cerca di tremore che scuota ancora una volta la tua mente,
ma sei malato e lo sai bene: in ginocchio non troverai un Dio in grado di darti ancora i suoi poteri.
Tutto questo tempo insieme, giorno dopo giorno, io sempre più perfetta e tu sempre più morente.
Adesso hai capito, non puoi scrivere di noi, perché quando lo farai io sarò immortale su questa tela, mentre tu, sepolto sotto i fiori, cadaverico e marcito, piangerai di non aver resistito.
Aspetta, forse io ti ho capito.
Maledico. Io ti maledico. No, non farlo.
Io ti ho capito, tu vuoi che per mezzo di me gli altri vedan te.
Così mi hai nutrita e ammaliata per desister a fuggire; mi hai illuso e lusingato per lasciar intender che per me avresti dato la tua vita.
E così l’hai fatto, hai dato la tua vita
ma solo perché attraverso di me gli altri vedessero te. Se prima Musa adesso non mi sento più assoluta, ma solo un mezzo in grado di lasciarti vivere anche dopo la morte”.

 

Perché un racconto per spiegare una dipendenza?
Perché nessuna ricerca o insieme di resoconti scientifici sarebbe in grado di districare le difficili ragnatele della dipendenza dall’amore.
Amore qui inteso nella parte più superficiale dei suoi molteplici significati: amore come spinta alla vita e alla successione, amore come legame di unità, amore come capacità di esperire la vita altrui.
Anche se la dipendenza, in questo caso senza quell’accezione negativa che ha il sapore di abuso e di sostanza neurodegenerativa, si stacca dal suo vero significato e crolla nel contesto sociale odierno.
Un contesto che elegge la rapidità e l’intensità più che la profondità e la riverenza per il pensiero.
L’amore non è più il mezzo per tramandare l’essenza dell’esistenza nella mente di coloro che restano, l’amore si è staccato dall’uomo ed ha preso vita propria, trasformandosi in un effetto collaterale, forse di un farmaco o forse di una droga, in grado di inibire le emozioni a favore di sintomi somatici elicitati da singole o molteplici scelte fatte per strada o in un computer in grado di procreare.
Il processo di adattamento si sta piano piano legando ai significati dell’evoluzione naturale nella sua gravità e crudeltà.
La nostra esistenza come unica e imprescindibile viene ribaltata in un campo di significati che racchiudono la collettività e un loop continuo.
Siamo individui atti solo a limitare i danni del cambiamento e mantenere in vita una specie.
Non siamo più gli artisti dell’esistenza, ma solo sensation seekers, pionieri di una terra bruciata che non ha più nulla da offrire, se non ricostruire.