Due o tre cose che so di Leonardo. Riflessioni intorno a un incredibile fenomeno mediatico.
La genesi del mito
In principio fu Titanic. Era il 1997 quando il colossal di James Cameron rivelò al mondo il talento dell’allora ventitreenne Leonardo DiCaprio. Il film vinse undici Oscar – record ancora oggi ineguagliato – ma il giovane attore californiano non riuscì a ottenere nemmeno una candidatura per il ruolo di Jack Dawson, proletario irlandese naufragato con il transatlantico. Ma lo straordinario successo di Titanic servì a Leonardo – come Leonardo servì allo straordinario successo di Titanic – e passò rapidamente da talentuoso e promettente attore a vera e propria icona cinematografica.
Diciannove anni – e diverse candidature – dopo, DiCaprio ottiene finalmente il tanto agognato Premio Oscar (più per i fans che per lui, suppongo). Certamente strameritato. Più per la carriera (ancora in divenire, ovviamente) che per l’interpretazione in sé che, pur essendo la più sofferta – si dice abbia dovuto recitare in condizioni estreme, rischiando perfino l’ipotermia – non è comunque la migliore, né all’interno del suo campionario né, in considerazione della natura competitiva dell’Oscar, tra quelle in concorso quest’anno.
Eppure nel 1997, alla vigilia dell’uscita del film che lo rese celebre, Leonardo non era proprio uno sconosciuto. Il suo curriculum registrava già diversi film – l’esordio al cinema datato 1993 a fianco di Robert De Niro in Voglia di ricominciare – e una prima nomination agli Oscar l’anno successivo per Buon compleanno Mr. Grape. Fu l’inizio del suo tormentato rapporto con il premio assegnato dall’Academy; e non sembra scandaloso sostenere che già allora meritasse la statuetta, vinta invece da Tommy Lee Jones, spalla di Harrison Ford nel film Il Fuggitivo.
Nel frattempo Leonardo completa la propria maturazione artistica lavorando per registi del calibro di Woody Allen, Steven Spielberg, Ridley Scott – più recenti le collaborazioni con Christopher Nolan e Quentin Tarantino – ma fu l’inizio del sodalizio con Martin Scorsese – alla ricerca del nuovo attore feticcio che vestisse i panni che furono di Bob De Niro – a rappresentare una svolta nella carriera dell’attore statunitense. Quattro film e due nomination in dieci anni. E uno dei primi ringraziamenti nel canonico discorso post premiazione.
And the Oscar goes to…
Ma per capire il fenomeno DiCaprio non è possibile discernere l’artista dall’uomo, lo sconfinato talento dal fascino (neanche troppo) discreto che Leo ha saputo sprigionare in film passati alla storia più per la sua presenza che per l’intrinseco valore della pellicola (il già citato Titanic; ma anche Romeo + Giulietta, La maschera di ferro e qualche altro). DiCaprio è ben presto diventato una vera e propria icona – non solo per i teenagers – tanto da essere proiettato al di fuori dell’universo meramente cinematografico, fino a diventare una delle personalità più influenti a livello globale.
Quando Julianne Moore, dal palco del Dolby Theatre, ha pronunciato il suo nome, l’applauso sincero piovuto dall’intera sala si è idealmente unito a quello – ugualmente sincero e più partecipato – levatosi dalle case di milioni di spettatori in tutto il mondo.
Raramente abbiamo assistito a tanto coinvolgimento attorno a un singolo attore – e un singolo premio – capace di trasformare un evento così importante come la cerimonia degli Oscar in un plebiscito pro Leo (virale in rete l’hashtag #GiveLeotheOscar). Quelli appena conclusi resteranno impressi nella memoria collettiva come gli Oscar di Leonardo DiCaprio; e il 2016 come l’anno in cui è finalmente stata posta la parola fine alla perdurante ingiustizia. DiCaprio e Oscar potranno finalmente essere usati nella stessa frase senza necessità di interporvi una negazione.
Ma il talento di un attore – come di ogni altro artista – non si misura con i premi vinti (o persi) e in questo senso il consenso critico attorno a Leonardo non è praticamente mai venuto a mancare; eppure la conquista della statuetta che tardava ad arrivare stimolava tanto sostenitori quanto detrattori; gli uni impegnati in una requisitoria nei confronti dei giurati dell’Academy, colpevoli di ostracismo premeditato, gli altri audacemente impegnati a sostenere sillogismi di dubbia veridicità (del tipo: i grandi attori vincono l’Oscar – DiCaprio non vince l’Oscar – ergo…).
L’abbraccio con Kate Winslet – sconfitta nella sua categoria, ma già vincitrice dell’Oscar nel 2009 per The Reader – rappresenta un’ideale chiusura di quel cerchio cominciato nel lontano 1997, insieme sul Titanic, svolta decisiva per la carriera di due tra i migliori attori della loro generazione. Entrambi hanno saputo compiere scelte importanti per la loro crescita professionale, ed entrambi sono riusciti a togliersi di dosso etichette troppo frettolosamente affibbiategli. Si sono ritrovati anni dopo, sul set di Revolutionary Road, dove hanno mostrato grande complicità e perfetta interazione nel dare corpo e voce all’ipocrisia celata dietro la famiglia borghese americana. Ancora una volta però la performance di Leonardo non produsse alcun riconoscimento significativo. Inspiegabilmente. Adesso arriva l’Oscar riparativo; interviene, con colpevole ritardo, a pulire l’onta per troppi anni rimarcata. Ma in fin dei conti niente è cambiato. DiCaprio era, è, e rimane un attore dallo straordinario talento (e molti altri ce ne sono, anch’essi in attesa di stringere tra le mani lo “Zio Oscar”) e, ancora inappagati dai numerosi personaggi che ci ha regalato, consegnati al nostro immaginario cinefilo, aspettiamo affamati nuove emozioni e pretendiamo che continui a svolgere il ruolo proprio di tutti gli attori, fare da tramite tra la visionarietà dell’autore e la ricezione del fruitore.