Un film che ricorda inevitabilmente gli esordi di Paolo Virzì.

Premiato dal pubblico all’ultimo Festival Internazionale del Film di Roma, Fino a qui tutto bene è l’ultimo lavoro del regista italiano, di padre inglese, Roan Johnson.

 

Un film giovane per i giovani e non solo…
Se ne avete sentito parlare molto probabilmente sarete tra quei tipi di persona che vanno in giro con maglioni monocolore infeltriti affetti da una lieve forma di sadismo prediligendo ai multisala super accessoriati quei piccoli cinema dimenticati da Dio, dagli uomini ma soprattutto dagli impianti di areazione, ventilazione e riscaldamento…
Per tutti gli altri vediamo di fare un po’ di chiarezza…
Il film nasce da un progetto commissionato dall’Università di Pisa con il semplice scopo di raccogliere alcune testimonianze sulla vita degli studenti.
I racconti a quel punto hanno così appassionato il regista tanto da volerne fare un film, indipendente e senza budget con tutti i rischi annessi e connessi.
Dalla sua possiamo dire che ha avuto la fortuna di collaborare con grandi artisti riuscendo così a creare un cast brillante ed esilarante.

 

La trama è molto semplice: cinque studenti, una casa e il loro ultimo weekend prima di affrontare la “vita vera” quella che esula dal puro cazzeggio studentesco.

Il pretesto semplice e se vogliamo banale fa da cornice a qualcosa di più profondo e intimo: le relazioni vere e viscerali instaurate dopo aver condiviso esperienze di vita che oscillano tra l’umano e il disumano.
Come per esempio la preparazione della pasta “col nulla” che c’è nel frigo, la presenza costante dell’odore di muffa in ogni parte della casa, le bollette da dividere sottraendo ogni centesimo, i festini in terrazza con alcol scadente, gli inevitabili postumi del giorno dopo…fino ad arrivare alle bravate fatte per scommessa come la sodomizzazione di un cocomero.
Il tutto reso ancora più comico grazie alla simpatia dialettale dei dialoghi, per la maggior parte recitati in pisano.
Nonostante la leggerezza che traspare non si deve cadere nell’errore di pensare che ci troviamo davanti a un film superficiale.

 

Questo “cuor leggero” utilizzato non solo come espediente narrativo ma anche come caratteristica del film mi ricorda molto gli esordi di un altro regista toscano, Paolo Virzì.
Lungi da me addentrarmi in scontati paragoni tra le due città rivali Pisa e Livorno…ma devo dire che ho rivisto molto di Virzì in questo giovane regista.
In alcune scene per esempio c’è la stessa incoscienza e spensieratezza nel voler dipingere un affresco sincero dei nostri tempi, senza mai sfiorare la banalità, calibrando con attenzione ogni dettaglio della realtà contemporanea.
Non esiste la dimensione dell’assurdo o dell’impossibile quando ci troviamo davanti alle storie e ai personaggi che ci vengono presentati, anzi in tutta onestà possiamo affermare che seppur non approfonditi adeguatamente suscitano nel pubblico grande affetto ed ironia.

L’importante non è focalizzarsi su un solo aspetto ma sulla coralità delle storie che si incrociano fino a formare una catena di azioni e reazioni.
E se per Paolo Virzì l’insoddisfazione giovanile era ironicamente identificata come “un uovo sodo che non va né su né giù” con Johnson la metafora della barchetta in mezzo al mare alla deriva risulta leggermente scontata e rivista… seppur perfettamente calzante.

Ovviamente al giovane regista mancano ancora dei piccoli tasselli per realizzare un ottimo film, ma comunque siamo sulla strada giusta.
Per esempio ciò che palesemente rivela questa pellicola è la totale assenza di un’adeguata struttura narrativa.

Il film non porta a nulla, non c’è una progressione né nella storia né nei personaggi che rimangono fino alla fine radicati a loro stessi.
Niente cambia, niente si trasforma… non c’è una svolta neanche nel finale…e forse è proprio questo il punto…non sta al regista dare una risposta alle nostre incertezze…

Nel limbo in cui siamo costretti a star sospesi e nel moderno smarrimento dantesco che ci affligge fatto di disoccupazione, crisi e di futuro senza futuro vige un unico e solo pensiero ricorrente…(anche questo espresso con un dovuto punto di domanda)

Allora che facciamo, ci arrendiamo?