David Cronenberg rimpasta tutta la sua arte, tutta la sua poetica per dire cose nuove.

Il nuovo film del canadese David Cronenberg ruota attorno alla famiglia Weiss, una famiglia atipica, ma perfetta per l’attenta analisi che ci propone il regista. Il campo d’indagine è il mondo dello spettacolo, degli eccessi, dei soldi a palate e quindi il lato oscuro degli studios hollywoodiani.

Il giovane Benjie Weiss è il classico enfant prodige che si muove alla perfezione dietro ad una macchina da presa ma che fatica a muoversi nella vita di tutti i giorni, complici le forti pressioni psicologiche, complice l’insano atteggiamento dei genitori – sopratutto la madre – che tutelano la loro gemma come veri e propri imprenditori.

 

Il padre (un perfetto John Cusack) è un essere squallido, un terapista televisivo che si ciba dei problemi della gente – famosa – illudendola con pratiche poco ortodosse di superare grossi problemi e contrasti interiori.
In questo enorme valzer di maschere di cera e fantasmi c’è anche Havana Segrand (una magnifica Julianne Moore) figlia d’arte, attrice inespressa con un pesante fardello da portarsi appresso.
Ad un certo punto della storia entra in scena Agatha (Mia Wasikowska), assunta come assistente personale da Havana Segrand che gira in limousine percorrendo il viale di tutte le grandi stelle di Hollywood, accompagnata da Jerome (Robert Pattinson) uno chaffeur col sogno di diventare attore, ma anche sceneggiatore.
Con l’arrivo di Agatha il mondo degli studios – già incrinato dalla prima inquadratura – va a pezzi e insieme le vite di tutti i componenti della famiglia Weiss e delle figure che ne gravitano intorno.

 

Maps to the stars - David Cronenberg

 

David Cronenberg si dimostra regista cinico e sapiente nel calibrare un dramma moderno con qualche venatura ironica ad allentare la tensione drammatica. La crisi è evidente, l’attesa della fine ci tiene incollati davanti allo schermo, come ipnotizzati da tanta atrocità. Il mondo dello spettacolo messo in scena dal regista è qualcosa di peccaminoso, di corrotto, così tanto da far male solo a guardarlo. Sbirciando da quella fessura che David Cronenberg apre e scava per quasi due ore ci rendiamo conto di come normali esseri umani possano cambiare, inaridire, mentire per restare al centro della scena, perché the show must go on.
Molti hanno attaccato il regista canadese, o meglio hanno attaccato gli ultimi dieci anni della sua carriera, solo perché a parer loro, negli ultimi film si è perso lo smalto di un tempo, si è persa la violenza fisica e mentale insita nei suoi primi film, quelli più cerebrali a dir loro.

 

Ma come si può rimanere indifferenti a History of violence? A tutta quella martoriazione della carne che è anche sangue versato da una nazione, da quell’America folle mai rappresentata così lucidamente dal regista. E come non notare la potenza delle immagini nella Promessa dell’assassino? La scena del bagno turco è quanto di più crudo ci abbia mostrato Cronenberg in tutti questi anni, è un groviglio umano, carne lacerata, spasimi di dolore, contrazioni; e lotta, lotta per sopravvivere. Quindi, sorvolando i pochi commenti negativi, ci esponiamo e possiamo dire con grande calma e sicurezza che sì, Cronenberg è cambiato nettamente rispetto a venti anni fa, ma lo vediamo più come un pregio, un riuscire a rimpastare tutta la sua arte, tutta la sua poetica per dire cose nuove in modi sempre più sorprendenti.