Un'analisi della vittoria di Tsipras e delle possibili conseguenze di questa per l'Europa.
Le recenti elezioni in Grecia hanno visto l’affermazione di Sryza e del suo leader Tsipras. La Troika è stata immediatamente definita come una questione appartenente al passato; una dichiarazione forte che, per quanto annunciata, ha immediatamente preoccupato i vertici di Bruxelles. Il timore risiede nel fatto che un eventuale rifiuto della Grecia nel pagare l’ingente debito contratto, o un eventuale dimezzamento dello stesso, possa creare un precedente pericoloso e possa portare gli altri paesi dell’Europa Meridionale in situazioni analoghe ad allinearsi e a perseguire la lotta dell’anti-austerità.
Una eventualità che la UE vuole evitare, data anche la possibile speculazione finanziaria che si verrebbe a creare nel caso l’istituzione si dimostrasse debole verso le scelte intransigenti dei paesi debitori. Ma d’altronde l’affermazione del leader di Sryza collima perfettamente con la sua linea programmatica: una ripresa della Grecia è infatti considerata perseguibile solamente attraverso prestiti a basso tasso d’interesse da parte della UE, atti a rilanciare la creazione di posti di lavoro, gli investimenti nelle infrastrutture e lo sviluppo delle tecnologie. Passo fondamentale è considerato l’abolizione del tanto criticato Fiscal Compact, che attualmente impone il pareggio di bilancio anche ai paesi in gravi difficoltà economiche, risultando così un grave impedimento per attuare gli investimenti pubblici necessari per uscire dalla crisi. E qui è inevitabile il profilarsi di un duro braccio di ferro con l’Unione: la seconda tranche di prestiti previsti per aiutare il paese (7 miliardi) erano stati stanziati a a fronte di misure quali l’aumento dell’età pensionabile, l’aumento dell’Iva sul turismo e l’aumento della flessibilità dei licenziamenti collettivi. Provvedimenti in netta controtendenza con le intenzioni del partito greco, il quale, se davvero decidesse di puntare i piedi, potrebbe vedersi sfumare il prestito della seconda tranche con conseguente, ed inevitabile, default. A parere di chi scrive questo scenario appare inverosimile; trovo più realistico l’attuarsi di un compromesso che comporterà un allungamento dei tempi dei rimborsi riducendo, allo stesso tempo, i tassi d’interesse rendendoli proporzionati all’andamento dell’economia ellenica.
Aldilà dell’aspetto meramente economico, quel che mi preme sottolineare in questo articolo è la sfida che Tsipras può lanciare alla concezione stessa dell’Unione Europea. Considerarla solo una linea anti-crisi è infatti riduttivo; la visuale del leader di Sryza è infatti di ben più ampio respiro, per uscire da questo stato d’empasse è necessario: “non solo cambiare le attuali politiche ma è necessario estendere l’interesse delle persone e la loro partecipazione alla politica fin nella stesura delle leggi europee”. Da questa prospettiva la crisi dell’Europa è un problema non solo economico e sociale, ma anche di democrazia e fiducia; l’Unione come è concepita oggi è di fatto solo una comunità economica, dove non vi è una vera condivisione di intenti e di principi.
Bisognerebbe dunque ripensarla, abbandonando in parte le politiche neo-liberali di austerità (foriere dell’euroscetticismo galoppante nei vari paesi dell’Unione) e tornare ad un approccio più improntato allo sviluppo del welfare state. Una considerazione che trova sostegno anche da importanti indicatori come l’Eurobarometro: la sfiducia verso la UE ha ormai da anni raggiunto livelli di guardia (solo il 37% dei cittadini continua a sostenere il funzionamento della istituzione), ed è quindi opportuno prendere atto che è giunta l’ora di approntare le adeguate contromisure.
Allo stato attuale sono infatti pochi i soggetti che traggono vantaggio dallo status quo (la Germania in primis) mentre molti sono gli attori che non ne stanno traendo nessun beneficio (i paesi dell’Europa Meridionale specialmente). Le stesse misure basate sull’austerity, che tanto sostegno trovano nella Germania, non solo si sono dimostrate inefficienti sul piano dei risultati, ma rappresentano il contrario di quelle che dovrebbero essere le basi su cui si fonda l’Unione, ovvero la solidarietà tra i paesi membri. Non attivarsi di fronte a tale sfiducia può avere quindi solo effetti negativi, alimentando quelle tendenze populiste che tanto giovamento traggono da questi momenti di crisi.
Da questo punto di vista, la linea indicata da Tsipras potrebbe ridare nuova linfa alla Unione Europea, dato che dispone di 3 grandi meriti: in primis, pone le basi per un effettivo aiuto reciproco tra i popoli, dando vita a una grande discussione internazionale sul debito; la seconda dote risiede nella lungimiranza, dimostrata dal leader di Sryza alleandosi con un partito di centro-destra populista, che permette a una opposizione di sinistra di canalizzare il radicalismo generato dall’ideologia e dalla sofferenza e, allo stesso tempo, di non lasciare l’opposizione sociale alla destra neonazista. Infine, Tsipras restituisce la speranza, quella di una evoluzione positiva delle istituzioni europee. Si mantiene la moneta unica restituendo parte della perduta sovranità nazionale agli Stati membri, permettendo loro di fare i necessari investimenti per riprendere una crescita sostenibile.
Il messaggio che ci invia la sinistra greca è che l’Unione Europea debba mostrarsi maggiormente conciliante; non significa concedere il dimezzamento del debito incondizionatamente, ma permetterlo a quei paesi che rispettino i criteri previsti dalla iniziativa sui «Paesi poveri pesantemente indebitati» avviata nel 1996 dal Fmie dalla Banca mondiale. In questo modo si riconosce, a chi ne ha bisogno, di avviare le giuste contromisure e si danno determinate garanzie a chi concede determinati sovvenzioni e benefici in termini di interessi.
Lo spunto fornitoci da Tsipras è quantomai intrigante; se insito nella definizione di democrazia c’è il concetto di compromesso è arrivato il momento di avviare una decisa discussione che possa permettere a tutti i Paesi membri di ottenere tangibili vantaggi in cambio della loro rinuncia a parte della sovranità nazionale. Si preannuncia quindi una lunga partita a scacchi con la Germania; decisivo potrebbe risultare, a favore della Grecia, l’aiuto che la Russia si è già detta disponibile a dare al paese ellenico, con cui ha da sempre forti legami economici. La Russia si sostituirebbe di fatto alla UE nel prestare l’aiuto necessario, e tale avvicinamento rappresenterebbe un chiaro attacco alla linea tedesca, che difficilmente potrebbe essere tollerato dai vertici della Comunità. Tale prospettiva, a mio modo di vedere, rappresenta forse il motivo più forte che porta a pensare che alla fine un compromesso verrà trovato, nel nome del buonsenso e della convenienza di ambo le parti.