Un'analisi di come il biopic americano ha assunto negli ultimi anni una inconcepibile deriva sentimental/patriottica.

Alcuni degli ultimi film di provenienza statunitense (hollywoodiana o meno) arrivati nelle nostre sale hanno ispirato questa mia breve digressione sulla (a mio parere) inconcepibile deriva (sempre a mio parere) sentimental/patriottica che caratterizza la stragrande maggioranza dei biopic a stelle e strisce degli ultimi anni. A prescindere dal fatto che siano un adattamento cinematografico di una preesistente autobiografia oppure si basino su sceneggiature originali; indipendentemente dal fatto che narrino le vicende di grandi personaggi che hanno fatto la storia della democrazia americana (sì caro Steven Spielberg, parlo proprio di Lincoln) piuttosto che figure emblematiche dello star system hollywoodiano (Marilyn Monroe, Alfred Hitchcock e via dicendo).

 

Vedendo al cinema film come The imitation game (sulla vita di Alan Turing) o La teoria del tutto (su Stephen Hawking) o Unbroken (sull’incredibile storia di Louis Zamperini) ti viene il dubbio di star guardando niente meno (o niente più) che una (auto)celebrazione del genio americano leggermente edulcorata o eccessivamente amplificata, in ogni caso poco credibile. Insomma si insinua sempre più forte la convinzione che le vite (straordinarie senza dubbio) di uomini geniali, coraggiosi, anticonformisti siano solo il pretesto per parlare in realtà di altro. Per santificare ancora una volta la presunta superiorità etica, ideale, forse anche antropologica dell’essere americano. Annacquando così il biografismo con il celebrazionismo si rischia di perdere l’autenticità di storie che stanno sì nella Storia (e a volte la determinano pure) ma che dovrebbero pur sempre conservare l’inestimabile valore dell’unicità. Ed è un peccato perché magari si tratta anche di bei film, intensi (The imitation game) ben girati (La teoria del tutto) e quasi tutti ben recitati. Discorso a parte meriterebbe il film di Angelina Jolie (Unbroken) e la sua inarrivabile bruttezza, ma meglio passar sopra.

 

biopic 1

La teoria del tutto è il biopic su Stephen Hawking

 

Anche un Maestro come Martin Scorsese (si proprio lui, l’autore di Toro scatenato, che raccontava magnificamente la parabola del boxer Jack La Motta) ci era cascato (nel 2005 con The Aviator) salvo poi correggersi parzialmente (The wolf of wall street) con l’ultimo film basato sull’autobiografia di Jordan Belfort dove per larghi tratti del film la storia riusciva ad incastrarsi perfettamente nella Storia restando lontata (non sempre per la verità) da pericolosi vortici retorici. Lo stesso Clint Eastwood (peraltro recidivo, vedasi Jersey boys) nel raccontare le gesta del famoso capo dell’ FBI, J. Edgar Hoover (nell’omonimo film) è rimasto a metà del guado tra un pallido melodramma ed una lode forzata all’uomo delle istituzioni con la schiena dritta.

 

È evidente che, se per tanti film del genere biopic vale il discorso appena fatto, per altrettanti valga il contrario. Le eccezioni (per fortuna) non mancano. Ci volevano forse la crudezza e l’onestà di Steve McQueen (12 anni schiavo, tratto dalla biografia di Solomon Northup) o l’impegno civile di Gus Van Sant (Milk) per poter ottenere un prodotto di indiscussa qualità. Ma, a mio personalissimo parere, la migliore biografia degli ultimi anni è senza dubbio il Che Guevara di Soderbergh. Due film e più di quattro ore senza una sola caduta nel patetismo, nell’esaltazione dell’eroe, nell’insopportabile sventolamento di un qualsiasi vessillo o drappello. Solo un uomo. E la sua storia. Che in questo caso è anche la nostra Storia.