Il capolavoro dei Daft Punk compie 20 anni. Ecco la storia dell'album spartiacque della musica elettronica.

Quando un album rimane impresso nella memoria collettiva delle persone e fa lo stesso anche con la generazione successiva allora esiste solo un termine per descriverlo: capolavoro. Nello strano e  comunque “recente” mondo della musica elettronica non sono molti i dischi che possono vantarsi di questo aggettivo. Homework, album d’esordio dei Daft Punk, compie oggi 20 anni e, riascoltandolo, non c’è alcun dubbio che spacchi ancora esattamente come due decenni fa.

 

 

Nel 1997 la musica elettronica in Europa ancora era un fenomeno di nicchia. Erano passati quasi 30 anni dall’incredibile nascita dei Kraftwerk, ma nessuno era riuscito a raccogliere la loro eredità. Ok, c’erano la psichedelia e i big beat dei Chemical Brothers, la trasgressione progressive dei Prodigy. Ok, la figura del dj stava assumendo un ruolo sempre più centrale nella musica, ma per sdoganare un genere ancora “nuovo” nelle case di tutti c’era bisogno di un fenomeno pop che potesse accontentare la maggior parte delle persone e piacere davvero a tutti.

 

Così, come una manna dal cielo e un po’ a sorpresa, due giovanotti francesi poco più che ventenni e conosciuti come Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo, cacciano fuori un disco che segna un punto di svolta e di arrivo al tempo stesso: è un mix di house, techno, electro e disco che nell’insieme va a creare un groove che verrà poi definito french touch.

Ed è subito un successo enorme. I primi due singoli, Da Funk e Around The World, scalano le classifiche di 14 paesi differenti. Per rendersi conto dell’impatto che il disco ha avuto basti pensare che nei primi due anni vendette oltre 2 milioni di copie, numeri impensabili per la musica elettronica e per niente male per un album registrato completamente in una stanza da letto (quella di Bangalter per la precisione).

 

 

Da lì in poi la musica elettronica non sarà più la stessa cosa e da qui prenderanno spunto e ispirazione centinaia di artisti di tutto il mondo. Così come era successo per i vari Grandmaster Flash, Afrika Bambaata e compagnia bella per l’America ora succedeva lo stesso per i Daft Punk in Europa, stava nascendo un movimento. A distanza di 20 anni penso che possiamo tutti essere d’accordo sul fatto che Homework non sia uno dei dischi più belli della storia, ma è il disco che serviva, lo spartiacque di un genere. Esiste la musica elettronica prima dei Daft Punk e dopo i Daft Punk. E scusate se è poco.

 

Fu particolarmente curioso il fatto che il duo, che non ha mai nascosto come Homework sia nato quasi per caso in seguito alla registrazione di vari singoli senza il pensiero di creare un album completo, decise di prendere la direzione opposta a quella del loro successo. Più il disco scala le classifiche, più loro decidono di rimanere nell’anonimato, riducendo ai minimi termini qualsiasi tipo di apparizione pubblica e evitando ogni genere di intervista, creando mistero intorno alle loro figure, ormai identificati come due uomini-robot grazie alle loro maschere. Anche questa risulterà essere una scelta rivoluzionaria. Il mercato pop era da sempre abituato a collegare la musica a delle figure ben riconoscibili, creando dei personaggi a tavolino a partire dalla personalità dell’artista. Con i Daft Punk non sarà così. Nessuno sa niente del duo e a nessuno importa niente. Il messaggio che vogliono dare loro è chiaro: la musica dance non ha bisogno di volti, stiamo entrando in un’epoca in cui la tecnologia la farà da padrone e noi non siamo altro che il risultato di queste innovazioni tecnologiche.

 

Daft Punk 1

Il travestimento iconico del duo francese

 

La ricetta che compone il disco è semplice: pochi, ma mirati, campionamenti (due o tre per pezzo al massimo), creare dei loop che possano rimanere impressi nell’ascoltatore e groove minimali, dritti e talmente sincopati da risultare quasi “vivi”.

Le parti vocali sono quasi del tutto inesistenti, al massimo servono per creare quella sensazione di loop nell’ascoltatore che rimarrà tipica della loro scuola.

Il risultato sono 12 pezzi che sembrano quasi legati uno all’altro, ossessionanti fino al delirio e maledettamente funky.

 

L’ispirazione è data dalle scene di Chicago e Detroit, andando a pescare a piene mani da generi quali acid house, disco e techno.

Quello che sono diventati poi i Daft Punk lo sappiamo tutti, un fenomeno di massa, icone di un mondo pop e conquistatori delle hit parade di mezzo mondo. Per alcuni il loro successo ha di gran lunga superato il loro talento, altri li ritengono una finzione mediatica creata dalle grandi case discografiche. Se anche voi la pensate così provate a domandarvi come mai ogniqualvolta un dj appoggia la sua puntina su Homework, a distanza di 20 anni, la gente inizia a ballare e non si ferma più. Un motivo ci deve essere, no?

 

Come ogni anno non mancano le voci riguardanti un loro possibile Tour mondiale, io ho imparato che ormai non vale più la pena sperarci, perché preferisco avere delle certezze e Homework, da 20 anni a questa parte, lo è.

 

Daft Punk 2

I Daft Punk senza le loro maschere

 

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