Peter Berg con Boston – Caccia all'Uomo confeziona un film ad alto tasso di empatia, sia reale che cinematografica.

“We will finish the race”, finiremo la corsa, aveva detto, in uno dei suoi tanti, memorabili discorsi, il 44° presidente degli Stati Uniti Barack Obama, l’indomani dell’attentato di matrice terroristica – per mano di due fratelli ceceni convertiti all’Islam radicale ed estremista – che, il 15 aprile 2013, durante l’annuale e storica maratona di Boston, fece perdere la vita a tre persone (più una quarta, l’agente di polizia Sean Collier, ucciso dagli stessi attentatori durante il tentativo di fuga), gettando nel dramma quasi tutta la costa est degli States (uno dei due terroristi rimase ucciso durante una sparatoria a Watertown, l’altro fu catturato vivo, nascosto in una barca, dopo quattro giorni di ricerche) facendo così tornare viva – se mai fosse stata almeno un po’ sopita – la paura di quella data di settembre. Oggi il terrore resta (ampliato, trasversale, insensato), ma, al netto dell’attualità strettissima, il vero antidoto per quest’epoca così incerta resta solo e soltanto uno: l’amore. Ce lo dice, rimarcando le storie dei piccoli-grandi protagonisti di quei giorni, il regista Peter Berg, che con Boston: Caccia all’uomo (in originale il ben più enfatico Patriots Day), ripercorre i fatti avvenuti tre anni fa, dalle esplosioni alle serrate indagini, fino alla convulsa cattura del fuggiasco killer.

 

Boston

Mark Wahlberg e Kevin Bacon in una scena del film

 

Inserito tra i migliori film del 2016 secondo la redazione di Variety, Boston è, effettivamente, grande cinema, nel senso più ampio del termine, in quanto Berg, dal background esplicitamente patriottico (basti pensare al suo Friday Night Lights o a Lone Survivor), costruisce una storia che già (tristemente) conosciamo sotto le spoglie di una pellicola che commuove, fa incazzare, fa sperare, fa riflettere su quale direzione dover prendere. E Berg, esperto nel parlare ai suoi personaggi, a far muovere pirotecnicamente la camera, a giocare con i climax (anche per merito di un accompagnamento musicale eccezionale targato da Trent Reznor e Atticus Ross), evita pure di girare attorno ad un ridondante patriottismo, dosando a più riprese la sempre emozionante retorica a Stelle&Strisce. Del resto, in momenti così, e nel suo ‘piccolo’ in un film del genere, la retorica della speranza, o meglio, l’audacia della speranza, come ha scritto e detto il miglior presidente USA dopo JFK, è l’immediata e miglior risposta che si possa dare difronte a questi atti di violenza.

 

Ecco, quindi, che nella pellicola, dopo essere stati introdotti parallelamente, entrano nel vivo i veri protagonisti di quella maratona e delle successive e furenti giornate, impersonati nel film da un cast d’eccellenza, che va da Mark Wahlberg a Kevin Bacon, da John Goodman a J.K. Simmons, da Michelle Monaghan a Rachel Brosnahan. C’è, si avverte, per l’intera durata (2h e 13′ che scorrono via), anche un altro, importante protagonista: il popolo. È venuto fuori, e il regista giustamente lo sottolinea, lo cita, lo ricorda, come la popolazione del Massachusetts abbia aiutato direttamente le autorità (rimproverate per aver velocemente reso note le identità degli attentatori) e di come si sia stretto attorno alle vittime in un pulsante cuore legato dall’empatia, dalla condivisione, dalla perseveranza di poter credere che le cose possano davvero cambiare, per poter correre, finalmente, tutti insieme. 

 

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